01 Set QUINTO PENSIERO FOLLE IN LIBERTA’
Un uomo che proprio nel momento in cui la vita comincia a ritrarsi dalle sue spiagge, un uomo che attenda promozioni o decorazioni come panni per riscaldarsi, che aspetti le stampelle per camminare diritto, quest’uomo, se è cristiano, è fuori strada. Non abbiamo voglia di ringiovanire? Possibile che non vogliamo tentare di cambiare in gioia quanto ci opprime?
Ringiovanire nello spirito e nella speranza; lasciare da parte le illusioni della tristezza a mano a mano che le arterie s’induriscono. Quando si apre la bocca per benedire ci si accorge che il nostro è un grido, perché troppe sono le vite fallite, troppi gli occhi tristi di coloro che dicono di credere, e dentro di essi c’è il panico. Vorremmo riconoscere dappertutto coloro che portano con sé il segreto, il ciottolo bianco, riconoscerli da qualche bagliore nello sguardo, da una certa danza dello spirito. Ma siamo deboli. E abbiamo anche bisogno di Calore. Vorremmo trovare fuori di noi quel che non sempre abbiamo il coraggio d’esercitare in noi.
Vorrei contestare certe saggezze benedette tinte di sentimenti cristiani, contestare l’ipocrisia tartufa, a tutto ciò che soffoca la verità delle persone: la devozione che non riesce a nascondere la fatica di vivere, lo snobismo polveroso di coloro che nel cuore e sul labbro non hanno che « il passato », il rifiuto di nutrimenti sostanziosi, il rifiuto della conoscenza che non sia mielosa, l’enorme confusione fra le convenienze, il moralismo e il Vangelo. Vorrei contestare tutti coloro che applaudono o si scandalizzano per schivare di comprendere il fondo delle cose. Contestare questa abitudine di trasformare ogni cosa in futilità, come quelle che cadono in estasi appena si parla Papa Francesco e poi la sue parole sono gettate camminando nel vento del mare.
Essere « la luce del mondo » non significa, se non per aberrazione, che basti salmodiare: « Io credo, io credo », ripetere formule imparate o, peggio, cercar di convincere. Essere « la luce del mondo » significa fare rientrare il proprio pensiero, animato dalla fede, nell’avvenimento che è linguaggio di Dio e leggere quest’avvenimento alla luce del Vangelo, assimilando la verità del Cristo che illumina la vita quotidiana. Dire la propria visione è senza dubbio tutto ciò che si può fare. Il resto è troppo spesso propaganda o pubblicità, autosuggestione o eterosuggestione. Esitare, sforzarsi d’essere giusti, mettere in discussione le nostre tendenze spontanee confrontandole con la fede, lasciarsi ferire dalla verità: questo è più raro e sarebbe più necessario.
Perché l’atteggiamento cristiano è difficile, di per sé. Solo con la grazia e la santità diventa estremamente facile: manifesta allora una semplicità conquistata che non ha niente a che vedere con gli infantilismi ordinari. La verità cristiana è paradossale ed obbliga sia a vivere su piani diversi sia ad accettare molte verità insieme.
Non chiamare fede i propri saggi accomodamenti. Né prudenza la propria paura o viltà. Né amore il proprio desiderio. Anteporre la libertà dell’altro al bene che gli si vuole. Non confondere le proprie idee coi propri interessi o le proprie abitudini. Combattere il fariseismo con l‘acuta consapevolezza dell’insidiosa soddisfazione che si prova in questa lotta. Prendere posizione contro la tortura e la violenza ma non tacere quando colpiscono i nostri nemici. Invocare la giustizia in loro favore. Sono le esigenze della verità cristiana.
Quando certi cristiani si appellano alla libertà e alla giustizia per difendere muri od opere, possono avere ottime ragioni ma non impressionano affatto: difendono dei possessi. E quando si schierano dietro al potere che sta al loro servizio, ciò è del tutto naturale, non c’è bisogno d’un’oncia di fede per questo.
Nel mondo contemporaneo c’è un’incredibile consumazione di « valori »: la persona, la libertà, la giustizia camuffano gli attaccamenti. La rettitudine cristiana ha i suoi imperativi: evitare che l’aggressione al male ch’è fuori di noi stessi sia un alibi per non dover constatare il male ch’è dentro noi stessi. Non aspettare, per difenderle, che le verità entrino in circuito, diventino forze, trovino il sostegno delle maggioranze. Sopportare le « ragioni di Stato » ma non correre in loro aiuto e non benedirle col pretesto che sembrano servire le « nostre idee ». Opporsi all’abituale tecnica del capro espiatorio che può, sì, rendere la tranquillità a un popolo, ma che nasconde tanta impostura e che ha condotto il Signore alla morte.
La fede deve anche garantire l’igiene mentale, insegnare a giudicare in modo giusto, cioè in modo evangelico. È necessario lasciar dietro di sé molte cose, fortificare il proprio mondo interiore, essere tanto veri e imprudenti da conservare i propri « migliori nemici », diffidare sempre dell’accordo e delle approvazioni che inghiottono come sabbie mobili.