Guariento Mario | ESSENZIALITA’ 3
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ESSENZIALITA’ 3

12 Ago ESSENZIALITA’ 3

L’essenzialità via alla interiorità, alla stanza del cuore. IL DEGARDA Di BINGEN. O uomo, rivolgi il tuo sguardo dentro di te. Tu contieni il cielo e La terra. In un’epoca in cui il bisogno di parlare nasce da uno stimolo incessante, a tal punto che ogni muro libero delle nostre città si riveste di graffiti’, può sembrare assurdo parlare di essenzialità, di silenzio e di deserto.

Eppure non c’è parola che abbia maggior potere di seduzione. Evocando immagini di spazio, di immensità, di una vastità illimitata, attira malgrado tutto l’attenzione. Chi non nutre in segreto, una nostalgia di calma e di silenzio? Perfino all’uomo agitato, prigioniero delle preoccupazioni, degli affari, del successo, si presenta sempre un momento in cui sogna di ritirarsi, di allontanarsi dall’ambiente in cui opera.

L’uomo moderno è in balìa dell’agitazione. Pare travolto da una burrasca, da un turbine, come una foglia morta al vento d’autunno.

L’ uomo moderno, spesso incapace di sopportare il peso della sua autonomia e di assumersi la responsabilità del suo processo d individuazione. Quest’uomo rischia di perdere la coscienza della sua dimensione

Appagando soprattutto i desideri dell’uomo esteriore — sempre vorace e mai sazio —, soffoca l’uomo interiore e non riesce più a percepirne la voce. L’ uomo, per così dire, svuota del suo contenuto la fonte divina, oppure si potrebbe dire che ne fa deviare il corso. Nulla di strano perciò se lo vediamo preoccupato esclusivamente della sua esteriorità e rifiutare la vita autentica di cui ha perso il gusto e il senso originario.

Ognuno di noi è diviso tra il mondo sensibile e il mondo intelligibile. Gregorio di Nissa ha indicato che l’anima «si trova al confine di due realtà: una intellettuale, incorporea, incorruttibile; l’altra corporea, materiale, irrazionale. Allorquando si è purificata dal suo attaccamento alla vita presente e materiale, si volge verso il divino a cui è affine. Tutto concorre, nella società moderna, a ridurre l’uomo a un prodotto di consumo. Egli consuma ed è a sua volta consumato. E colui che mangia e che è mangiato, il possessore e lo spossessato ad un tempo. Lo si rende avido di un guadagno che poi gli viene tolto. Gli si promette un’esistenza confortevole e gli vengono ridotte al minimo le sue esigenze fondamentali, gli viene auspicata una vita piacevole ed è oppresso da continue minacce.

Nulla di nuovo. In mancanza di nutrimento adeguato, l’intelligenza dell’uomo, il suo amore della bellezza, il suo bisogno di aderire a qualcosa che lo trascenda, la sua sete d’infinito, sembrano venir meno, trascinando anche la sua dimensione umana e divina.

Solo l’interiorità potrà risparmiare all’uomo l’agonia che lo attende, ma un’interiorità vissuta a livello universale. Sono finiti i ghetti, le parrocchie privilegiate e privilegianti, le comunità che “possiedono” la verità,

Che l’uomo accetti il risveglio e la crescita della sua dimensione divina, e ritroverà un equilibrio nell’ambito della manifestazione transitoria. Non ha da rinnegare nulla del passato, che costituisce per lui un trampolino. Gli è tuttavia richiesta un opera di purificazione riguardo al contenuto della sua fede, alle sue certezze, alle sue speranze. E necessario che lavori la sua terra in profondità e dimentichi i vecchi otri che il vino nuovo farebbe scoppiare.

Significativo è un testo che fa parte di un trattato ermetico dell’antico Egitto. Nota col titolo di Asclepio, questa profezia si riferisce allo sfacelo dell’Egitto spirituale, questa terra degli dèi, dei templi, della pietà, del culto, che rimarrà vedova dei suoi dèi tutelari.

“Questi l’abbandoneranno e lasceranno la terra egiziana per “risalire verso il cielo”. Con l’allontanarsi degli dèi, l’ uomo perderà il suo centro, non avrà più voglia di vivere, ma di morire. «Duomo pio sarà considerato pazzo, l’empio un saggio; il forsennato passerà per eroe, il peggior criminale per un uomo onesto.» Si riderà di chi crede all’immortalità dell’anima. Quanto agli “angeli malvagi”, si mescoleranno agli uomini e li costringeranno alla violenza e ai crimini.”

Questa profezia pessimista colpisce: concerneva l’Egitto, ma si potrebbe ben darle un’applicazione più generale. Si è prodotta una separazione tra Dio e l’uomo. Leggendo questo testo non si può fare a meno di evocare le parole del salmista: «… tutta la terra trema [lontano] dal suo volto» (Sal 95, 9).

Fautore del trattato così prosegue: «O Egitto! Dei tuoi culti non rimarranno che favole e più tardi i bambini non vi crederanno nemmeno; non sopravvivrà altro che parole incise nelle pietre, a raccontare le tue pie imprese».

Questo oracolo impressiona per la sua attualità.

A tutti i livelli, in ogni ambito, risulta perciò evidente la necessità di un’opera di progressiva disintossicazione, o l’uomo non conoscerà mai la liberazione reale. E non potrà avanzare fintantoché non adotterà una nuova impostazione di vita. La conversione proposta riguarda unicamente il suo passaggio a questa novità. Il vecchio uomo che si deve abbandonare fa parte della sua carne, dei suoi pensieri, delle sue scelte, non solo materiali, ma spirituali. Tale cura di disintossicazione non la può realizzare con altri, essa lo concerne nella sua singolarità. Pertanto è imperativo che rientri in se stesso e vi rimanga, sino a che si sta non diventi una condizione stabile. Il deserto è il luogo della metamorfosi. Se l’uomo entra nel suo deserto, un deserto interiorizzato che significa un passaggio attraverso il vuoto, un salto critico, la purificazione attiva dal falso sapere. In tal modo il deserto diventa una scuola di vita in cui l’u mo potrà riconquistare una dimensione di sacralità che oggi stata abbandonata.

La caratteristica fondamentale del deserto è la sua universalità. A questo proposito bastano pochi esempi a illustrare l’importanza di un tema che ha assillato gli uomini assetati d’Assoluto, in tutti i tempi, in seno alle tradizioni più diverse. Il deserto infatti ha sempre affascinato i nomadi, i viaggiatori in cerca d’avventure, e ancor di più gli amici della saggezza della profondità della contemplazione. Nel deserto «il paesaggio non parla, profetizza>, come disse Rilke al ritorno da un soggiorno in Spagna. Non aveva attraversato il deserto, ma aveva potuto avere un contatto intimo con la bellezza e il colore della terra e delle pietre.

E incontro col deserto dà luogo ad un esperienza sconvolgente. Modifica l’uomo, lo modella e lo colora dandogli il senso della sua origine.

Il deserto esterno, geografico reperibile sulle carte e gli atlanti comporta in ogni caso una dimensione interiore per chi vi pianta la tenda. Il deserto interiore invece si presenta come un fenomeno a sé, indipendente da qualsiasi luogo.

Il deserto esterno esige una separazione dal mondo, il ritiro dalla società, la rinuncia alle varie attività per dedicarsi all’ ascesi. Questa comporta il digiuno, la veglia, la lotta contro le passioni. Il soggiorno in una terra deserta favorisce il risveglio della dimensione più profonda. Nulla distrae il solitario, il silenzio delle labbra è accompagnato dal silenzio dei sensi, della memoria, della mente e del cuore. Se il deserto inteso materialmente non corrispondesse a un deserto interiore, vano sarebbe il cammino che conduce il solitario in un luogo isolato. Rompendo ogni legame politico e sociale, e abbandonando ogni responsabilità umana, l’uomo si distacca dagli impegni e dalle preoccupazioni che possono interferire nell’intensità della sua vita interiore. Egli si dedica esclusivamente alla ricerca di Dio, tramite la via contemplativa.

Nei paesi dell’estremo oriente il deserto diventa grotta, capanna, cavità di una roccia, tenda rizzata. in una foresta o sul fianco di un monte. In occidente può diventare cella in un monastero.

Anche il deserto interiore sarà ritiro dal mondo, e soprattutto dal “mondo interno” che ciascuno porta in sé. L’ascesi interiorizzata richiederà il digiuno dalla dispersione dei pensieri, dagli amori idolatri, compreso anche quello di un Dio concepito come un idolo.

L’abitante del deserto interiore vivrà la sua esistenza in segreto, in quella “interiorità nascosta” di cui parla con tanto acume Kierkegaard. Non avrà bisogno di rivelare chi è. Poco propenso a manifestarsi, si guarderà dal proclamare rumorosamente la sua identità; vivrà come gli altri, lavorando per il suo sostentamento.

Il paradosso sarà il suo deserto, perché gli occorrerà molta audacia per «osare di essere totalmente se stesso, per realizzare un individuo, che non è un individuo qualunque, ma un essere unico e irripetibile, solo davanti a Dio, solo nell’immensità del suo sforzo e della sua responsabilità».

Gli uomini prossimi al risveglio e desiderosi di giungere alla liberazione aspirano all’universalità. Essi aspirano all’unità interiore, ma non vogliono separarsi dagli altri. Quindi è necessario che scoprano il loro maestro interiore, per imparare grazie a lui — non tramite guru esteriori — il modo di ravvivare la propria interiorità.

Tutti gli uomini d’oriente e d’occidente, alla ricerca della dimensione profonda, sono orientati verso l’universalità e l’unità, che si accetti o meno, che se ne sia spaventati o soddisfatti. Affinché questo divenga una realtà effettiva, l’uomo del deserto interiore deve modificare radicalmente il suo rapporto con la creazione.

L’eremita interiore è invitato a “riconciliarsi” con la terra. Non si sentirà in esilio, ma saprà che le appartiene, l’amerà teneramente e godrà della sua bellezza. Il suo sguardo, purificato nel deserto interiore, acquisterà la capacità di ammirarne l’armonia e l’unità,

Certo, è un ospite di passaggio, e deve evitare di attaccarsi al luogo che visita. Eppure, non soffre di cecità, il viaggiatore sarà soprattutto attratto dallo splendore di ciò che vede, uno splendore che lo colma di gioia e lo incanta.

Come ci si può preparare a godere la bellezza dell’invisibile se non si sa percepire la bellezza del visibile? Non ci si può preparare a ricevere la pienezza della luce meridiana nell’ombra, è necessario aprirsi gradualmente alla luminosità. La luna brilla per riflesso, ed è già innamorata del sole quando lo accoglie.

Abitando il deserto interiore, il nuovo eremita ha la possibilità di staccarsi in modo definitivo da tutta una tradizione — falsamente cristiana — che gli ha inculcato un certo orrore della creazione, la paura di vivere pienamente. Grazie a questa apertura alla bellezza, anche se effimera, l’universo sarà trasfigurato davanti ai suoi occhi stupefatti.

Questo atteggiamento positivo dischiude inesorabilmente l’intelligenza e il desiderio interiore, che erano ostacolati dagli atteggiamenti negativi del passato. L’abitante del deserto, diventato un uomo libero, non può che procedere sulla via della liberazione.