Guariento Mario | NATALE 2014
Tutte le opere, i commenti, le riflessioni di Don Mario Guariento
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NATALE 2014

01 Set NATALE 2014

INCARNAZIONE TRA MISTERO E STORIA.

L’incarnazione è il punto di estasi della storia umana. Gesù è la falla attraverso la quale entra l’acqua di un’altra sorgente, la feritoia attraverso la quale il divino si innesta, come un ramo d’olivo, sul vecchio tronco della terra che riprende a fiorire.
Quella nascita è una fessura di luce attraverso la quale la nostra storia prende respiro, allarga le ali, spicca il volo.
Ci troviamo davanti al mistero centrale della Rivelazione: Dio, attraverso il Figlio, entra nella storia dell’uomo, e questa storia è divenuta storia di salvezza.
Il Figlio di Dio ha voluto farsi uno di noi per condividere la nostra sorte:
come noi ha avuto un nome, Gesù di Nazaret, che lo ha distinto come uomo storico. È stato conosciuto come “il figlio del falegname”; ha avuto una madre, Maria; una stirpe, quella di Davide; un paese natale, Betlemme. Si è inserito nella cultura del suo popolo; ha seguito le genuine tradizioni religiose; ha saputo cos’è l’incomprensione dei suoi; ha sofferto la persecuzione e goduto l’amicizia; ha sperimentato la fedeltà e il tradimento, l’esaltazione e l’umiliazione, l’amore e l’odio. È stato ammirato e tradito; ha sentito fame e stanchezza; ha conosciuto la povertà e l’abbandono. È stato crocifisso come un delinquente, ed è morto nella più drammatica debolezza e solitudine. Tre giorni dopo però, nella stessa Gerusalemme dove era stato ucciso, è risorto dai morti.
Aprirsi al mistero dell’incarnazione comporta prima di tutto la consapevolezza che il Verbo di Dioha preso carne umana, per farsi presente nel mondo, uomo vero tra gli uomini, pur essendo anche vero Dio. Nell’incarnazione Cristo ha fatto un’esperienza di vicinanza radicale e definitiva al mondo e al nostro vivere, e si è manifestato profeta della paternità divina e annunciatore dell’incalzante vicinanza di Dio-Padre. Egli fa presente l’alleanza di Dio con l’uomo, che riacquista tuttala sua dignità di figlio del Padre.
Il movimento fondamentale del cosmo non è l’ascensione dell’uomo alla conquista del cielo, ma la discesa di Dio che conquista la terra facendosi lievito della massa, sale della mensa, lampada ai nostri passi.
Una forza di gravità ha attirato Dio dentro il gorgo degli uomini, una forza che ha nome amore. La terra intera geme, il mondo è un immenso pianto.
«Fa piaga nel cuore di Dio la somma del dolore del mondo» (Giuseppe Ungaretti),
e un giorno Dio non ha più sopportato, non ha più resistito è venuto, ha ascoltato il gemito e si è fatto gemito, agnello in cui grida il dolore.
Celebrare il Natale è un atto di contestazione grande e coraggioso. Contesta la nostra vita spesso fondata su noi stessi, la società radicata nelle sue certezze orgogliose e strapotenti, la religiose nella sua presunzione di essere lei a salvare e a dire a Dio ciò che è santo e giusto.
I Natale ci grida nel cuore l’urgenza di vivere con la consapevolezza che non aspettiamo la venuta del Signore ma che Egli è presente. E’ presente in ogni istante della nostra vita, ci accompagna, ci avvolge con il suo amore, ci bacia e piange con noi quando il dolore tenta di rubarci la speranza e la pace.
Vivere il Natale è decidere di guardare l’altro con occhi di luce, di amore, di misericordia.
Il Natale ci chiama a scoprire la presenza di Colui che è tra noi e in noi e accoglierlo con l’amore con cui Egli ha accolto noi nel mistero del suo amore.
Quello che i nostri presepi hanno spesso ridotto a un quadretto intimo e familiare è invece l’inizio di un capovolgimento totale, di un nuovo ordinamento di tutte le cose del mondo. Dice che la storia non è l’eredità di chi fa sfoggio di forza e dà la scalata ai troni.
Quella è solo una storia perdente.
La storia vera è l’opera di chi si colloca là dove nessuno vorrebbe essere, nell’umiltà del servizio, nell’insignificanza apparente della bontà, nel silenzio degli uomini di buona volontà.
A chi accetta di avvicinarsi alla sua mangiatoia, accade qualcosa. Recarci davanti a quella che non è neppure una culla, ci trasforma.
Ci invita a deporre davanti a quel bambino ogni ricerca di prestigio, ogni distanza dagli altri, a metterci dalla parte non di chi infligge ferite, ma di chi guarisce. Chi riscopre la buona volontà, la volontà di cose buone, a non esporta freddezza ma comunione.
«Il Verbo si fece carne».
Dio abita nella carne della vita, nella mia. Dio abita, cioè, nella concretezza dei miei gesti, deve abitare i miei pensieri, abitare i miei occhi.
E lo sguardo, allora, si fa tenero e attento.
Deve abitare il mio udito, perché io ascolti con il cuore.
Deve abitare la mia bocca, perché io dica parole di bene e sappia benedire gli uomini e la vita.
Deve abitare le mie mani, perché si aprano, si stendano a donare pace, ad asciugare lacrime, a vestire ignudi, a spezzare ingiustizie. La grandezza di un uomo dipende da chi lo abita.
Vera grandezza è essere abitati da Dio.
E se ha voluto nascere in una stalla, non si scandalizzerà di me, abiterà le mie miserie, questo nodo di povertà e di sole che so di essere, e mi trasformerà. Io devo essere abitato dalla pace, per poter abitare la terra con pace.
Se mi avvicino a quella mangiatoia, io vengo trasformato: la mia fragilità umana è riempita della presenza di Dio, si è immerso nell’abisso della mia miseria, da quel momento il tempo diventa spazio vitale in cui cogliere, interpretare e incontrare Dio, divenuto Dio-con-noi.
Usando ancora una densa espressione di Kierkegaard, possiamo dire che in Cristo tempo ed eternità entrano in collisione, non per una esplosione ma per un abbraccio e un dialogo. Non vuol dire nemmeno incontrare me stesso nel senso di dire “sono arrivato”, ho raggiunto un certo potere, un certo successo. Mi considero realizzato.
Il Natale ci dice ad alta voce che non posso più centrarmi in me stesso ma uscire incontro all’altro perché solo nell’altro trovo me stesso nella sua dignità e valore.
Un sapiente guru che, a detta di tutti, aveva trovato se stesso, sedeva sulle rive del Gange. Tutte le mattine” all’alba la gente si sedeva ai suoi piedi. Veniva anche un povero contadino che toccava i suoi piedi e poi se ne andava.
Un bel giorno il grande guru, pieno di condiscendenza e compassione, si degnò di domandargli da dove venisse e sentendo il nome di un villaggio lontano esclamò: “Ma come fai a venire tutte le mattine da quel villaggio così lontano se devi attraversare il fiume e non c’è nessuna barca e il fiume è infestato di coccodrilli?”. L’uomo un po’ imbarazzato rispose: “lo penso a Voi, invoco il Vostro nome e così… passo e vengo qua!”. «Bene, bene, figlio mio, – e rivolto agli altri – vedete quanto è grande la sua fede… bene, bene!».
Accadde un giorno che questo grande guru dovesse attraversare il fiume per andare nel villaggio, ma non c’era la barca. Allora si ricordò che quel poveraccio invocando il suo nome attraversava il fiume. Allora adoperando tutte queste tecniche di feedback, incominciò ad invocare il suo nome e mise il piede nell’acqua, ma non fece in tempo a posare il secondo piede che fu divorato dai coccodrilli.
Aveva incontrato se stesso, era guru per gli altri ma non era guru per se stesso.
Incontrare l’uomo significa incontrare l’uomo negli uomini, cioè l’uomo negli altri, nel prossimo, nel mio vicino. Il superamento dell ‘individualismo comincia quando uno incontra l’uomo negli altri.

Quando l’uomo a un certo punto è giunto allo stremo delle sue energie interiori, quando diventa a se stesso un peso, quando non ha più incentivi per proseguire, quando è impaurito dalla montagna che gli sta davanti, quando si sente schiacciato dalla colpa, quando si sente raggirato e defraudato dal mondo intero, allora non ci sono più parole che possano essergli di aiuto, non ci sono più ideali o sogni per l’avvenire che si possano erigere d1nanzi a lui. Allora ha bisogno di una sola cosa: di un uomo di cui potersi fidare totalmente, senza riserve, di un uomo che tutto comprenda, tutto ascolti, tutto sopporti, tutto creda, tutto speri, tutto perdoni; di un uomo a cui si possa dire: “Tu sei la quiete, la dolce pace, tu l’anelito e ciò che lo placa” (Riickert); di un uomo al cui sguardo i nostri dolori si dissolvano, il nostro cuore si dischiuda, in muto amore; di un uomo che prenda delicatamente su di sé i nostri pesi e dissolva ogni lotta, ogni angoscia, e in tal modo redima la nostra anima da questo mondo. Ma chi ha un uomo simile? Dove trovarlo? Ora, è davvero il miracolo dei miracoli che ognuno abbia già un uomo simile, lo possa trovare, perché quest’uomo già lo chiama a sé, di sua iniziativa, gli si offre, ci invita; quest’uomo, che è il nostro riposo, la nostra pace, il nostro ristoro, la nostra redenzione, è solamente Gesù Cristo, lui che è veramente uomo, e che in questo suo essere veramente uomo è Dio e Redentore, pace e riposo.
D. Bonhoeffer, Commento a Matteo, pag.194