Guariento Mario | ESSENZIALITA’ 1
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ESSENZIALITA’ 1

13 Ago ESSENZIALITA’ 1

La parola della essenzialità è quasi scomparsa dal nostro vocabolario quotidiano. Non interessa più a nessuno: non fa notizia. Essenzialità è quasi sinonimo di povertà, di mancanza, non ha niente a che fare con l’immagine e il successo, quindi viene guardata con sospetto, La si teme, sa quasi di inferiorità.
La sobrietà appare una realtà del passato che non ci riguarda più. E temo che la sua perdita non abbia migliorato la nostra esistenza, anzi ci ha fatto diventare più insensibili e indifferenti. L’odierno stile dominante invece è l’eccessivo e lo smodato: in tutto! Non ci entusiasma una cultura profonda, essenziale, che ci fa conoscere e pensare, ci deve invece far emozionare, eccitare, quasi distrarre da ciò che siamo e da come viviamo.
Per questo la essenzialità è difficile da comprendere, da interiorizzare e da vivere. Eppure ritengo che sia necessaria più che mai per il nostro futuro, e penso che scoprire il proprio stile semplice di vita diventerà presto un autentico vivere umano. Ma tutto questo deve passare attraverso una nuova consapevolezza che faticosamente sta maturando nella vita concreta delle persone. Oggi siamo sempre più chiamati a scoprire il paradosso della felicità, ad avere un nuovo sguardo sulla vita del mondo; senza la nascita in noi di questa nuova essenzialità, sono e rimarranno appuntamenti mancati i cambiamenti che ci stanno interpellando a livello mondiale.

La difficile essenzialità si rivela qui come la possibilità di apprezzare non solo i beni materiali ma anche ci impegna nell’orizzonte esistenziale dei beni relazionali. I beni materiali soddisfano fino a un certo punto, e non apportano la felicità che ognuno di noi cerca, anzi, a certe dimensioni la ostacolano, mentre sono proprio i beni relazionali o interiori quelli che producono affetto e comunicazione tra le persone e che donano più felicità e senso di vita. Dunque, siamo chiamati a vivere la difficile essenzialità, che inaugura oggi una consapevolezza più articolata in merito alla povertà, al lavoro e alla felicità, e arreca alla svolta epocale che è in atto, una contestualizzazione spirituale.

La essenzialità non è il frutto di un processo di livellamento e omologazione e, tanto meno, il rifiuto di ogni esperienza-limite, dove sempre rimanga lo spazio seducente della meraviglia. L’eccesso non è nemico della essenzialità, ma una delle sue ineliminabili modalità. Senza via di scampo, la essenzialità si lega con la condizione di finitezza-finitudine che è propria e preziosa di ogni uomo: l’uomo è in cammino, cerca e ri-cerca, può solo fermarsi per una sosta breve, ma mai sentirsi arrivato alla totalità del senso, alla verità totale, perché fra le mani ha sempre e solo frammenti di verità. La esenzialità si può indicare come esperienza del massimo possibile. Così come l’armonia non è la devitalizzazione degli estremi, ma la massima espressione nell’incontro della loro vitalità.

E come l’armonia, la essenzialità non è esperienza negante, non è staticità o violenza, ma è forza, che si genera e ri-genera verso una pienezza possibile, ma non progettabile nella totalità dei suoi movimenti. Così la bellezza, che ha a che fare con l’armonia, anche storicamente, si può considerare la essenza della vita e la essenza della follia. La bellezza, come la essenzialità, porta in sé anche quei segni che molto spesso, a prima vista, sembrano ferirne l’integrità .

La essenzialità è virtù difficile da definire. A violare la essenzialità non è infatti soltanto l’eccesso nella soddisfazione dei bisogni di carattere fisico-biologico, ma anche l’abuso della parola e, in generale, dei linguaggi — si pensi ai pericoli derivanti dall’utilizzo smodato della multimedialità — e soprattutto l’appropriazione e l’uso illimitato dei beni economici con la sottrazione ad altri della possibilità di realizzarsi.
Si può dunque, in un certo senso, dire che la essenzialità è una disposizione soggettiva, un vero e proprio modo di essere-al-mondo, caratterizzato dalla ricerca della necessaria limitazione dei bisogni.


Essa è, dunque, un’attitudine interiore, che investe globalmente la persona, l’esercizio della essenzialità implica un costante controllo di sé e una diuturna vigilanza nei confronti delle pulsioni, nonché del desiderio di autoaffermazione, perciò delle dinamiche del possesso e del potere.

In questa riflessione intendo porre l’accento sul valore sociale che la essenzialità riveste, cioè sul grande potenziale che da essa può venire per una seria ricomposizione dei rapporti umani. Essa possiede un valore liberante per il corretto sviluppo di processi, nei quali la ricerca dell’autorealizzazione soggettiva (che non deve essere mortificata) entri in un giusto equilibrio con il rispetto e la promozione della solidarietà sociale e favorisca lo sviluppo di relazioni umane nelle quali venga assegnata piena centralità alla ricerca di ciò che ha valore.
In questa prospettiva presenta consistenti affinità (fin quasi a identificarsi) con la povertà evangelica, in quanto attitudine a forme sempre più efficaci di comunione e di condivisione, ma anche (e soprattutto) per aprirsi alla ricerca di ciò che realmente conta, il regno di Dio e la sua giustizia, rifiutando ogni forma di idolatria .

La essenzialità da origine così una vera svolta antropologica, che trova espressione nella figura dell’uomo consumatore, di un soggetto cioè in cui la dilatazione indefinita dei bisogni genera una voracità di fondo nei confronti dei beni, con la conseguente atrofizzazione della capacità di interiorizzazione e di riflessione.
Il superamento di questa condizione presuppone il ricupero di una forte tensione, che spinga a reagire alle dinamiche del sistema; ma presuppone anche (e soprattutto) una radicale inversione di tendenza sul terreno della coscienza, la consapevolezza, in altre parole, della necessità di rifiutare i modelli imposti dalla cultura, promuovendo una diversa gerarchia dei valori e concorrendo alla costruzione di un modello alternativo di uomo. Inoltre la essenzialità chiama direttamente in causa la questione del linguaggio (e dei linguaggi), che è la struttura portante del processo comunicativo. Le difficoltà che oggi affiorano sono, in proposito, di diversa natura ed entità, e si collegano, in particolare, alle enormi potenzialità degli strumenti che la tecnologia ha messo a disposizione dell’uomo. La loro incisività e pervasività rischia infatti di snaturare il contenuto della comunicazione, le cui dinamiche incidono sugli strati profondi della personalità, provocando una vera mutazione della coscienza. La essenzialità implica pertanto, oltre a un uso limitato dei media, la capacita di controllarne gli effetti, mediante una seria conoscenza dei processi da essi generati e la resistenza alle ricadute distorcenti da essi derivanti. Il rischio è, infatti, che la moltiplicazione quantitativa delle informazioni dia luogo — come si è già ricordato — a un impoverimento del comunicare, con esiti negativi sullo sviluppo della relazionalità umana.

La possibilità di fuoriuscire da questa situazione è legata all’attivazione di strategie in controtendenza: il ricupero di una vera comunicazione con l’altro (riconosciuto nella sua diversità) passa attraverso un processo di interiorizzazione, che, eliminando le sovrastrutture surrettizie (o almeno ridimensionandole drasticamente), metta ciascuno nella condizione di interagire, in modo autentico, con l’altro, creando la possibilità che orizzonti di senso diversi entrino tra loro in una logica di scambio, finalizzato alla ricerca di un reciproco arricchimento.

La essenzialità assume, in questo caso, i connotati della temperanza nell’uso dei linguaggi e degli strumenti come condizione per il ricupero del proprio sé e per disporsi ad accogliere, allo stesso modo, il sé dell’altro, evitando il sovrapporsi di schermature devianti; diviene la strada obbligata per riscoprire il senso vero (e ultimo) delle relazioni umane e, più profondamente, per consentire che si disveli il nocciolo segreto della realtà, spesso nascosto dai paraventi dietro i quali la persona si nasconde, e per attingere, di conseguenza, la verità dell’esperienza personale e di relazione, favorendo così un’autentica liberazione umana.

Il primato assegnato all’essere di più come criterio delle scelte consente infatti di scavare nelle profondità del proprio essere, e di venire proiettati al di là di sé e delle cose, scoprendo la verità che ci costituisce.