Guariento Mario | NONO PENSIERO FOLLE IN LIBERTA’
Tutte le opere, i commenti, le riflessioni di Don Mario Guariento
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NONO PENSIERO FOLLE IN LIBERTA’

16 Ott NONO PENSIERO FOLLE IN LIBERTA’

La storia del figliol prodigo non è soltanto la storia d’un uomo, esprime anche l’eterno movimento della fuga e del ritorno, la dialettica della salvezza e del sacrificio. Il Cristo che arreca la salvezza al mondo viene crocifisso dal mondo. Ma questo scacco è una vittoria. E la Chiesa testimonia con tutta la sua vita il paradosso della perdita che è guadagno. Quando essa diventa debole all’esterno, è allora che viene ascoltata, amata e servita nel suo interno. Ciò che perde in estensione, lo guadagna in profondità. La salvezza giunge nel momento in cui tutto sembra perduto. La Chiesa è dunque chiamata ad uno spogliamento continuo e non può non essere, almeno in tutta una sua parte, qui o là, in stato di persecuzione ora larvata ora violenta.                                                                               Se il Cristo, in cui non ci furono connivenze né peccato, venne condannato perché ricordava alla natura la necessità di morire per vivere e alla religione il primato dello spirito sul formalismo, e se la Chiesa, nella sua realtà mistica che è il Cristo, non potrebbe mai essere benedetta e glorificata dal mondo, a maggior ragione essa nel suo stato di cristianità appesantita da connivenze e da opacità, non può sperare sorte diversa.                    

Ecco perché in ogni epoca ciò che è confessionale e clericale viene minacciato, attaccato, senza che d’altro canto sia possibile discernere chi è preso di mira: se il Cristo o ciò che deforma il Cristo, se Dio o gli idoli che sostituiscono Dio.                                                   

Ma il cristiano sa che è in questa lacerazione della notte che lo Spirito agisce sui mondo.

Si direbbe che la fede e l’amore siano impotenti a sollevare la realtà umana: apostoli; santi o profeti, anche se presentono ciò che accade, gridano nel deserto. Fino al giorno in cui sopraggiunge l’avvenimento, come all’epoca d’Israele quando il tempio veniva distrutto, come nella sera del Venerdì santo quanto la notte s’abbatté su Gerusalemme. Allora tutte le strade sono chiuse, resta soltanto la via stretta. Allora ciò che era stato compreso è come se non fosse stato mai compreso: così, a Pentecoste gli apostoli sono ubriachi e vengono capiti in tutte le lingue perché parlano il linguaggio dell’amore.

Arriva il tempo, quando il setaccio della storia comincia ad agitarsi, in cui ciò che era cristiano si ritrova profano. Qualcuno dice che la religione scompare, che la fede è in ribasso. Ora, questo è solo un dato di fatto, né a favore di Dio né contro Dio. Un dato di fatto che dobbiamo interpretare, al fine di dilatare la visione religiosa delle cose e di entrare nel grande movimento provvidenziale mobilitando la speranza.

È normale che il Piccolo gregge  animi il mondo, ma non risulta che per questo debba necessariamente disporre di mediazioni o di privilegi particolari che gli facilitino l’azione attraverso gli ordinari condizionamenti sociologici. Se, considerata la natura sociale dell’uomo, non può assolutamente rinunciare ad agire in modo umano, sa però le istituzioni mediatrici non direttamente ecclesiali, per quanto utili possano essere, sono gravate da ipoteche, che arriva sempre il momento nel quale il mezzo rischia di compromettere il fine, che l’organo tende a trasformarsi in ostacolo, che ciò che illumina gli uni o li attira, acceca gli altri o li respinge, che il muro non solo protegge ma anche sbarra l’accesso, che c’è il pericolo d’arrivare al punto in cui la perfezione della tecnica renda la fede quasi inutile.                                                                                                      

Allora, constatando che gli mancano gli abituali sostegni culturali o politici, il cristiano può pensare che tutto sia perduto, buttarsi nel gioco delle rivendicazioni, reagire come l’uomo naturale il quale vedendo i tempi cambiare dice che è la fine del mondo per evitare di prendere atto che chi s’avvicina alla fine è lui stesso, oppure  può rallegrarsi segretamente di trovarsi a dover vivere le beatitudini e a dover considerare la propria debolezza come la propria forza. Se non la sua naturale capacità di giudizio, allora la Speranza, misurando ciò che è perduto, gli fa percepire ciò che è guadagnato.

Il dono della profezia non è necessario per prevedere che la «diserzione delle masse» continuerà con moto accelerato . Numerosi gruppi sociali concentrano tutta la loro attenzione su valori che hanno tratto origine dal cristianesimo ma il cui dinamismo è diventato tale che la Chiesa, dopo averli alimentati e comunicati, sembra ora al rimorchio, immusonita e inquieta. La virulenza di questi valori è così grande solo perché sono usciti dalla sintesi, sono impazziti, sono diventati mostruosi a causa della loro solitudine — una giustizia che tien poco conto della libertà, una libertà che trascura la giustizia —, tanto più esagitati in quanto la gente li proietta unicamente verso la terra, mascherando sotto l’idealismo gli abituali istinti possessivi.

Dinanzi a questo stato di cose, due soluzioni per le chiese: o entrare nel movimento, allargare le proprie frontiere visibili per inglobare quei valori recalcitranti; ma sappiamo tutti come i protestantesimi liberali, che hanno seguìto questa via, si siano dissolti nei razionalismi. Oppure ripiegarsi su se stesse, respingere ciò che hanno contribuito a creare, col rischio di tagliarsi fuori dall’umanità viva. Ora, la Chiesa mai può, senza rinnegarsi, né inglobare quei valori, prendere la rincorsa per accorciare le distanze, né isolarsi dal mondo reale. Essa lascia allora che le verità impazzite facciano il loro cammino, finiscano in vicoli ciechi, s’imbattano nelle contraddizioni. Così, vede staccarsi larghi strati di popolazione sedotti da una giustizia più «giusta», da una libertà più «autentica» della sua… In effetti, nel caso della Chiesa, parlare di valori o di verità significa coltivare astrazioni e fabbricare tanti moloc, perché il cristianesimo non si identifica né con la verità né con la giustizia né con la libertà: le assume, sì, però la sua missione specifica comincia solo dopo averle assunte. Di conseguenza la rottura, che forse non era così netta nell’universo della cristianità, in cui i frutti della fede occultavano la sua trascendenza — tant’è vero che si poteva servire la Chiesa anche per ragioni estranee alla sua vocazione —, questa rottura si manifesta con tutte le lacerazioni che porta dietro di sé.

La Chiesa non potrebbe rassegnarsi ad essere ricondotta allo stato primitivo — lo stato primitivo è un ideale solamente per gli utopisti —, essa non si chiude nel cenacolo che per espandersi su tutta la terra, non scende nelle catacombe che per costruire cattedrali nuove ben diverse dalle vecchie, non ridiventa lievito che per far crescere la pasta. In concreto, però, eccola ridotta provvisoriamente alle sue apparenze, dinanzi a valori umani che riconosce ma che sono in, polemica permanente con Essa, intolleranti e settari.                

Nello stesso tempo la parte viva dei suoi fedeli, la «cristianità» del presente o dell’avvenire, svincolatesi progressivamente dalle strutture temporali e dalla potenza paternalistica che hanno esercitato lungo molti secoli — prima per necessità, poi per attaccamento —, e quindi costrette a poggiarsi più sulla fede, si trovano indotte, senza sacrificare l’intransigenza dottrinale, anzi in nome della fede stessa, a realizzare la tolleranza positiva del rispetto e dell’amore.                                                                           

Allora esse non si voltano più verso il passato come la moglie pietrificata di Lot, ma camminano come Abramo « senza sapere per dove »: cercano meno di dirigere il mondo dall’esterno che d’ispirarlo dall’interno, come un popolo che può perdere, sì, i suoi possedimenti ma che conserva ed estende il suo influsso mediante il proprio spirito finalmente liberato da’ vischiosità troppo tenaci e che riesce a concretizzare il paradosso della privazione trasformata in vittoria.