Guariento Mario | Lectio DOMENICA 24.10.2021
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Lectio DOMENICA 24.10.2021

25 Ott Lectio DOMENICA 24.10.2021

Marco 10, 46 – 52

Ma voi chi dite che io sia?  Un incontro che cambia la vita. Bartimeo è una figura socialmente marginale, un mendicante che sta alle porte della città, da molti considerato impuro, perché non vedente. L’evangelista Marco lo toglie però subito dall’anonimato, dandogli un nome e una famiglia; presto la sua famiglia si allargherà nella famiglia dei discepoli di Gesù. Bartimeo capisce che Gesù è vicino. A questo punto scatta in lui la decisione di volerlo incontrare a tutti i costi. Non può farlo direttamente, ha bisogno che Gesù si accorga di lui, nonostante la folla che lo ostacola. È cieco, ma può sempre mettersi a gridare. E lo fa con insistenza e il suo grido ripetuto manifesta la sua volontà di suscitare l’attenzione di Gesù; al tempo stesso è anche preghiera, confessione di fede e richiesta di salvezza. Bartimeo manifesta una grande forza di volontà e una fede che Gesù percepisce e alla quale risponde fermandosi e facendolo chiamare proprio da quelli che prima avevano cercato di farlo tacere. Per tre volte Marco usa il verbo chiamare. La risposta di Bartimeo non si fa attendere. Due segni manifestano la sua determinazione: balza rapidamente in piedi (pur non vedendo) e getta via il suo mantello. Questo gesto ha un significato profondo: manifesta il fatto che Bartimeo è disposto a lasciare tutto, proprio tutto per incontrare Gesù, come fa la vedova che getta nel tempio le uniche due monetine che le sono rimaste, mostrando la sua totale disponibilità a Dio e la sua fiducia illimitata nel suo amore L’invocazione di Bartimeo, «Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me», nella spiritualità orientale è detta anche «preghiera del cuore», perché viene ripetuta incessantemente fino al punto da uniformare il respiro con le parole per arrivare a una forma estatica di indifferenza senza alcuna separazione tra corpo e spirito. Chi la pratica resta quasi sospeso, libero da ogni pesantezza corporea e librato verso la pienezza spirituale che si sperimenta nello svuotamento totale di ogni bisogno, perché nell’immersione in Dio si vive la pienezza del compimento di ogni desiderio vitale Evidentemente possiamo dire che Marco, con questo racconto, descrive un processo di maturazione della fede: Gesù passa per quella via. È sapienza saper Leggere gli avvenimenti e le persone che incontriamo per «accorgerci» che Gesù sta passando.

Il cieco è l’uomo sulla via della fede: non vede Gesù. Ne intuisce la presenza dai segnali che arrivano dal mondo che lo circonda, dagli avvenimenti, dalle situazioni, dalle persone che lo circondano.

Lo invoca: il povero nel bisogno non ha nulla da pretendere, ha solo il grido per invocare:

«Questo povero grida e il Signore lo ascolta» Sal 34. Pregare è gridare a Dio la propria cecità e il «grido del povero» accorcia la distanza tra terra e cielo. La prima richiesta del grido non è la guarigione, ma il perdono: Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me, peccatore. L’ambiente circostante è negativo: la folla cerca d’impedire l’apertura verso Dio. C’è però anche un’altra suggestione che ci viene ascoltando il grido di Bartimeo e lo zelo silenziatore dei suoi discepoli: occorre ricuperare la capacità di gridare, o quantomeno di parlare, senza che qualcuno ci zittisca. Noi facciamo molta fatica a parlare di noi, a condividere qualcosa di profondo di noi stessi, tra noi.
Occorre ricuperare la capacità di ascoltarci, nel senso di ascoltare noi stessi e di ascoltarci tra di noi: «Solo nell’incontro con una persona che non censura, dirige o manipola, ma che tollera e accetta davvero tutto ciò che vive nell’anima di un individuo è possibile diventare sinceri nei confronti di se stessi e trovare, in virtù di quanto si scopre in questo modo, il coraggio di cercare nuovi atteggiamenti» (Drewermann).

Non esiste comunione nella comunità, nella famiglia se prima non c’è un rapporto personale con Dio. Noi mettiamo in comune con gli altri ciò che siamo, sperimentiamo e viviamo. Se non viviamo un rapporto intimo con Dio, metteremo in comune solo banalità e la comunità non può reggersi, ma muore. La folla che è un impedimento all’incontro del cieco con Gesù è quella che segue Gesù. Essa lo segue solo materialmente, perché non percepisce la sua presenza salvifica. Può succedere che chi si dice credente possa essere un ostacolo agli altri e a Dio. Ci si abitua a tutto, anche ai miracoli che popolano la nostra vita. Angelo Casati ha scritto una poesia intitolata Il racconto:

Solo uomini
cui non toccò mai
l’avventura di amare
né il brivido
d’innamorarsi
oseranno dire
sempre uguale, monotono,
il racconto misterioso
del torrente dei monti.

Potremmo essere assuefatti anche a Dio e diventare pagani pur facendo atti e gesti religiosi. Occorre per noi avere discernimento continuo per capire se cerchiamo la volontà di Dio o se non ci siamo costruiti un «dio» su misura. Il cieco non si lascia condizionare dall’esterno, ma grida più forte. È il coraggio di aprirsi a Dio nonostante le difficoltà. A volte le difficoltà, anche se schiacciano, possono diventare una forza interiore: se l’ambiente ostacola bisogna attaccarsi a Gesù più profondamente perché la posta in gioco è grande: ne vale della vita spirituale.

Dio è chiamato e ode il grido del povero. A sua volta lo chiama coinvolgendo la folla, superficiale, che diventa strumento di mediazione tra Dio e il cieco. Essa diviene addirittura strumento di risurrezione («alzati!»), perché il catechista Gesù la coinvolge trasformando la sua superficialità in partecipazione attiva.

La chiamata trasforma il cieco e trasforma la sua immobilità in un salto di vita: «balzò in piedi», liberandolo da tutto ciò che impedisce il movimento (mantello). Avviene l’incontro che si compie nel dialogo e instaura un rapporto di vita in una reciproca preghiera: quando preghiamo noi supplichiamo Dio, ma anche Dio supplica noi. Il cieco ora vede perché crede. La folla credeva di vedere ed era cieca, non si accorgeva del cieco che cercava Gesù, il cieco invece vedeva meglio della folla e ora può credere in lui.
Credere è vedere.