Guariento Mario | DOMENICA 05.12.2021
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DOMENICA 05.12.2021

02 Dic DOMENICA 05.12.2021

SECONDA DOMENICA DI AVVENTO

Luca 3, 1-6

«Voce di uno che grida nel deserto. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
Si potrebbe pensare che il cammino d’Avvento dipenda solo da noi, che noi dobbiamo abbassare i colli e riempire i burroni. E’ Dio che paradossalmente può raddrizzare nei nostri cuori i suoi sentieri; egli ci deve preparare a celebrare con fede la venuta di Gesù Cristo. La salvezza aleggia sulle onde della voce del Pastore buono, nelle parole del Profeta che invitano a vivere la giustizia e non compromessi, a sperimentare trasparenze e non commistioni tra fede e potere, tra povertà ed interessi, tra purezza di cuore e corruzioni. E solo chi percepirà questa Voce, potrà intonare il cantico di speranza: Vieni Signore, Gesù. Il luogo della discesa della Parola è il deserto che riporta l’eco di una voce la quale invita a non conformarci alla mentalità di questo mondo. Nel deserto c’è silenzio, c’è lo spazio senza confini, c’è l’essenzialità che esclude ogni superfluo, c’è la possibilità di pensare e di essere in compagnia di se stessi. Nel deserto si possono porre le domande importanti della vita e se si è attenti alla «voce che grida» nel deserto, si possono avere le risposte e conoscere le condizioni: «raddrizzate i suoi sentieri… i passi tortuosi siano diritti». Il deserto è il luogo dell’eco dove la parola pronunciata ritorna per essere riascoltata e non c’è il rischio del sovraffollamento delle parole che normalmente viviamo. Il deserto è la capacità non di «fare silenzio», ma di «essere silenzio» per lasciarsi abitare dalla Parola che risuona e parla di un impegno costruttivo: «preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati».

Fare diritti i passi tortuosi indica la necessità di un mutamento nella condotta. Non è un invito alla penitenza o alla mortificazione, ma un appello alla radice del cuore umano che propriamente è il cambiamento dei criteri di valutazione dei principi, in base ai quali uno giudica e calcola avvenimenti e comportamenti. La «metànoia» ha affinità con la mente, il pensiero, la struttura razionale dell’individuo. L’evangelista Luca oggi ci invita ad uscire dal nostro particolarismo e ad affacciarci alla porta della Storia, sapendo che Dio l’ha scelta come sua dimora per l’incontro con il suo popolo. Spesso noi confondiamo l’universalità con l’esperienza che facciamo nel nostro piccolo; identifichiamo l’universalità con la nostra esperienza limitata. Cristo viene e si dona agli uomini e alle donne di ogni lingua, razza, tribù, popolo e cultura, senza chiedere a nessuno il green pass o il luogo d’origine. Vivere l’avvento significa guardare oltre i confini del mondo e aprirsi alla venuta di Gesù che giunge dall’oriente e dall’occidente, dal nord come dal sud. Quando avremo permesso alla Parola di scendere nel silenzio che custodisce il nostro cuore e le avremo permesso di abitare la nostra anima, allora e solo allora comincerà l’avvento perché ci prepareremo all’incontro con il Signore che è venuto per dirci che siamo e lo siamo per sempre. La deformazione del Vangelo comincia quando si fa il discorso a partire dalla città e non dal deserto. La profezia di liberazione è una profezia che ci riconduce alle radici del nostro esistere collettivo e non per esortarci a trovar salvezza fuori della città, come voleva fare Giona, ma per entrare dentro la città. Questo è un altro aspetto, non così scontato, della fede. Appena la fede si adagia nell’impulso religioso, istintivo nell’uomo, il suo suggerimento è di andare sui monti, di tirarsi fuori e invece in quel momento si tradisce l’ispirazione della fede perché essa ci deve portare dentro, e non a cercare comode comunità collocate sulle colline da cui si guardi, di tanto in tanto, con occhio benevolo la sofferenza comune di coloro che sono dentro la città. Ci deve portare dentro le contraddizioni. Questo è un punto essenziale della fede. La fede non giustifica le fughe ma anzi le dissuade, le delegittima e ci obbliga a farci carico delle contraddizioni del mondo.

Allora il fasto delle antiche profezia si scioglie e rimane in noi, come un residuo vivo, l’impegno etico alla salvezza dell’uomo da tutte le contraddizioni che lo affliggono. Con questo spirito la nostra presenza nel mondo si illumina della grande speranza che è la certezza che questo impegno non sarà deluso. Una volta che in questo impegno si bruciano le nostre ambizioni personali, si subordinano a questo impegno tutti i calcoli personali, esso diventa fecondo. Certo, per lo più i profeti muoiono prima che venga l’alba del giorno di cui hanno parlato, ma quante volte un riverbero di quell’alba ci viene negli occhi! Dobbiamo essere grati a Dio che questo avvenga: è vero il nostro tempo è un tempo di iniquità ma ci sono anche i segni che ci entusiasmano, ci sono le esperienze anche minuscole che ci fanno presentire il futuro. Solo chi sceglie la linea dell’impegno illuminato dalla speranza avrà tribolazioni ma avrà la grande gioia interiore, il senso profondo che la vita non è spesa invano e che ogni attimo passato, ogni gesto compiuto si depositano in un corso segreto delle cose che prima o poi arriverà alla superficie della terra e diventerà primavera.