22 Dic NATALE 2021
“ Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi”
La presenza di Dio, secondo il Talmud, nessun santuario la poteva contenere. Il Verbo, dunque, diventa la shekina di Dio, la presenza viva di Dio in mezzo a noi e ricapitola, per renderla definitiva, tutta la storia del suo farsi presente, concretamente, storicamente, esistenzialmente, in mezzo, dentro gli uomini. Ha ragione Dietrich Bonhoeffer quando scrisse a pochi mesi dalla sua morte per impiccagione in una prigione nazista: «Dio è impotente e debole nel mondo e così soltanto rimane con noi e ci aiuta. Cristo non ci aiuta in virtù della sua onnipotenza che ci sovrasta, ma ci aiuta in virtù della sua sofferenza», perché egli è nostro fratello nella carne e nei limiti di questa carne.
La pienezza del nostro essere, che avrà senz’altro il suo compimento nella pienezza del tempo, incomincia già da ora, nella dimensione temporale che scandisce la vita di ogni uomo e quella dell’umanità, in uno sforzo continuo di rendere presente Dio agli uomini. In questo modo la contingenza, l’effimero, l’angoscia del nulla che attanagliano l’uomo appena avvertito della propria condizione e che lo fanno vivere aggrappato al tenue filo del suo orizzonte egocentrico, possono trasformarsi, certo dolorosamente o magari drammaticamente, nella realtà di una dimensione «altra» che dà consistenza alla nostra fragilità di ombre evanescenti. E se il Dio-uomo, entrando nel tempo e divenendone il centro, ha trasformato sul piano dell’essere la nostra vita, ha mutato anche il senso degli accadimenti che inanellano il nostro tempo e che chiamiamo «storia».
Come l’uomo acquista il proprio valore eterno in Dio, così la storia diventa progetto, che è quello di ridire agli altri e di rivivere con gli altri, continuamente, l’evento, il mistero dell’incarnazione. Ma l’uomo contemporaneo sa ancora cogliere questo senso della storia in quella congerie di macerie che sembrano essere, e sono, gli accadimenti umani? Ed ecco allora gli occhi dell’uomo, inariditi da tanti lutti e dolori, farsi scettici sulle cose e sulle persone e guardare smagati alla lunga catena di fatti come a materiale inerte. Dovremmo abbandonarci, crogiolati nel nostro dolore privato e collettivo, nelle nostre sciagure individuali e pubbliche, a tanta disperazione? O forse il cristiano, o l’uomo di speranza, è colui che ricorda che nella notte c’è sempre una luce che può rischiarare il suo cammino, che può dare senso al suo vivere e morire? Non sempre la coscienza dell’uomo contemporaneo, di noi che ci sentiamo addosso il peso della nostra limitatezza, della nostra fragilità e quindi del nostro male, è così abbagliata dalla consapevolezza che Dio, proprio perché ha passione per l’uomo, si è per noi incarnato un giorno e, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, ci ha indicato con l’umiltà della sua nascita il modo del nostro essere e del nostro intervento nella storia.
Le macerie della vicenda umana sono la notte della volontà di potenza dell’uomo, dimentico della luce che può dare un bimbo deposto nella mangiatoia. Bisogna rimanere presso noi stessi e lasciare che il silenzio ci parli di Dio, un silenzio che grida a gran voce: Dio è veramente con te, in te, là dove sei, e ti chiama ad essere aperto come una grotta, senza porte…dove chiunque può entrare. Solo in Cristo il tempo diventa “ occasione di salvezza”: Cristo infatti riempie tutto il tempo di un infinito amore, al quale ogni uomo, se vuole, può aprire la porta entrando in intima e reale comunione con la gioia di Dio.