Guariento Mario | NATALE 2021
Tutte le opere, i commenti, le riflessioni di Don Mario Guariento
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NATALE 2021

22 Dic NATALE 2021

“ Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi”

La presenza di Dio, secondo il Talmud, nessun santuario la poteva contenere. Il Ver­bo, dunque, diventa la shekina di Dio, la presenza vi­va di Dio in mezzo a noi e ricapitola, per renderla de­finitiva, tutta la storia del suo farsi presente, concre­tamente, storicamente, esistenzialmente, in mezzo, dentro gli uomini. Ha ragione Dietrich Bonhoeffer quando scrisse a pochi mesi dalla sua morte per impiccagione in una prigione nazista: «Dio è impotente e debole nel mon­do e così soltanto rimane con noi e ci aiuta. Cristo non ci aiuta in virtù della sua onnipotenza che ci sovrasta, ma ci aiuta in virtù della sua sofferenza», perché egli è nostro fratello nella carne e nei limiti di questa carne.

La pienezza del nostro essere, che avrà senz’altro il suo compimento nella pienezza del tempo, incomincia già da ora, nella dimensione tem­porale che scandisce la vita di ogni uomo e quella del­l’umanità, in uno sforzo continuo di rendere presente Dio agli uomini. In questo modo la contingenza, l’effi­mero, l’angoscia del nulla che attanagliano l’uomo ap­pena avvertito della propria condizione e che lo fanno vivere aggrappato al tenue filo del suo orizzonte ego­centrico, possono trasformarsi, certo dolorosamente o magari drammaticamente, nella realtà di una dimen­sione «altra» che dà consistenza alla nostra fragilità di ombre evanescenti. E se il Dio-uomo, entrando nel tempo e divenendone il centro, ha trasformato sul pia­no dell’essere la nostra vita, ha mutato anche il senso degli accadimenti che inanellano il nostro tempo e che chiamiamo «storia».

Come l’uomo acquista il pro­prio valore eterno in Dio, così la storia diventa proget­to, che è quello di ridire agli altri e di rivivere con gli altri, continuamente, l’evento, il mistero dell’incarna­zione. Ma l’uomo contemporaneo sa ancora cogliere questo senso della storia in quella congerie di macerie che sembrano essere, e sono, gli accadimenti umani? Ed ecco allora gli occhi dell’uomo, inariditi da tan­ti lutti e dolori, farsi scettici sulle cose e sulle persone e guardare smagati alla lunga catena di fatti come a materiale inerte. Dovremmo abbandonarci, crogiolati nel nostro dolore privato e collettivo, nelle nostre sciagure indi­viduali e pubbliche, a tanta disperazione? O forse il cristiano, o l’uomo di speranza, è colui che ricorda che nella notte c’è sempre una luce che può rischiara­re il suo cammino, che può dare senso al suo vivere e morire? Non sempre la coscienza dell’uomo contempora­neo, di noi che ci sentiamo addosso il peso della no­stra limitatezza, della nostra fragilità e quindi del no­stro male, è così abbagliata dalla consapevolezza che Dio, proprio perché ha passione per l’uomo, si è per noi incarnato un giorno e, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, ci ha indicato con l’umiltà della sua nascita il modo del nostro essere e del nostro in­tervento nella storia.

Le macerie della vicenda umana sono la notte del­la volontà di potenza dell’uomo, dimentico della luce che può dare un bimbo deposto nella mangiatoia. Bisogna rimanere presso noi stessi e lasciare che il silenzio ci parli di Dio, un silenzio che grida a gran voce: Dio è veramente con te, in te, là dove sei, e ti chiama ad essere aperto come una grotta, senza porte…dove chiunque può entrare. Solo in Cristo il tempo diventa “ occasione di salvezza”: Cristo infatti riempie tutto il tempo di un infinito amore, al quale ogni uomo, se vuole, può aprire la porta entrando in intima e reale comunione con la gioia di Dio.