13 Ago LITURGIA 1
LA LITURGIA: esperienza del mistero dell’esistenza e del mistero di Dio
La liturgia è un “luogo” in cui le realtà divine si fanno manifeste in quelle visibili: e l’uomo accede al “mistero” nella sua totalità di corpo, anima e spirito, di ciò che è.
Il suo desiderio non si frantuma nella dispersione di “oggetti” da ottenere e possedere, ma viene soddisfatto con la partecipazione-comunione all’ unica Realtà.
La liturgia fa entrare l’uomo dentro uno spazio in cui convergono Dio e la creazione, Dio e l’uomo, dove l’uomo, come in un sempre rinnovato Eden, è coinvolto in un’azione necessariamente collettiva, in cui il suo essere singolare non viene assorbito e abolito, ma armonizzato nel contesto di una totalità che è suo principio e suo destino.
E, contemporaneamente, nella liturgia l’uomo entra in un tempo “non-tempo“, un tempo “e-statico”, non immobile, compresenza di passato, presente e futuro che assimila la dinamica rivelativa divina nella continuità del cammino umano e creaturale
Da qui si può dedurre come per vivere la liturgia siano necessari gli elementi costitutivi:
l’uscire da sé,
liberarsi dal mondo dell’utilitarismo
e del desiderio per immergersi nella realtà del “tutto compiuto”, totale, unica e universale, “cosmoteandrica”, per usare una significativa espressione di Raimon Panikkar.
E in questa realtà si può entrare e sostare soltanto con piena gratuità e umiltà.
Scrive infatti Panikkar: La secolarizzazione rappresenta, per me, il recupero della struttura sacramentale della realtà, la coscienza del fatto che una vita umana realmente piena è liturgica perché è l’espressione stessa del mistero dell’esistenza. L’uomo è il sacerdote del mondo, il sacramento cosmico, e oggi siamo più propensi ad accettare anche questa verità: l’uomo è il profeta del nostro universo, il celebrante del sacramento della vita e l’ambasciatore del regno dello spirito.
In tale contesto, il culto non appare un’evasione, una inibizione dei nostri ideali e ambizioni, né una scusa per l’inazione o l’omissione del nostro dovere immediato, ma come l’integrazione di tutte le dimensioni della vita, come il costante “contrappeso” di materia – quando siamo troppo spirituali – o di spirito – quando il materiale prende le redini.
Il culto non è né un atto interessato, sperando da un deus ex machina ciò che non possiamo ottenere da noi stesi, né un’azione superflua di una aristocrazia spirituale preparata a cantare, rendere grazie o meditare, mentre la maggioranza lavora, soffre o lotta semplicemente.
Al contrario, il culto – a differenza della teologia, che è il passaggio cosciente dal mito al logos, da credenze non riflettute a convinzioni definitive, autocriticamente e intellettualmente formulate – rappresenta lo sposalizio di mythos e logos: un matrimonio che non può essere consumato se non nello spirito. Il culto non è la negazione della condizione umana, ma la sua accettazione.
Attraverso il culto, la nostra condizione umana viene accettata con realismo, senza essere ignorata né disprezzata. Il culto non rappresenta né evasione né compiacenza, ma quell’atto umano e cosmoteandrico per il quale si richiede fede, speranza e amore.
E quest’atto che, per l’accettazione della nostra condizione umana, ci pone sulla strada della sua redenzione per mezzo di una trasfigurazione – che il cristiano sa che è visibile soltanto in momenti come quello del Tabor – che illumina e sopporta quell’immensa esperienza di sentirsi un essere cosmoteandrico.
Da questa riflessione possiamo trovare indicazioni utili per dare fondamento e senso, respiro e confidenza al nostro rapporto con la liturgia e per trovare nelle forme, negli spazi, nei linguaggi della liturgia un’ occasione per varcare la soglia del visibile, senza timori di alienazioni, e per contemplarvi anzi quella realtà in cui si può assaporare la pienezza della vita.
La vita infatti entra nelle forme di culto perché questo non pretende altro che essere la quintessenza stessa della vita umana, esprimendo non soltanto il suo simbolismo individuale ma anche il suo senso e la sua vocazione cosmica.
In un momento storico come il nostro che respira un rapporto tra spirito e tempo molto particolare ed è troppo spesso arrogantemente sicuro che l’uomo non abbia più bisogno di Dio per spiegare il mondo per esistere nella coscienza di sé e per fondare la propria certezza», occuparsi di contemplazione, quale respiro della liturgia, trasporta in dimensioni che, immediatamente, si amano e si prediligono. Si esprime così la natura profonda del cuore umano che vuole pulsare e amare e non soltanto produrre o essere oggetto di consumo, apparente peculiarità dell’identità umana odierna.
La liturgia è una sorta di arazzo corale donato, al di là dei colori dei fili, dell’ affidabilità del telaio e del genio creativo dell’ artigiano.
Non un arazzo però che nasce ma che è, che ci viene affidato e posto in mani grezze e ruvide che mai sapranno trattarlo con la delicatezza e la competenza che richiede l’opera di Dio per nascere alla storia.
La comunità orante diventa tutta un campo di spazio-tempo, diventa luogo in cui l’orante singolo è agito, ma anche agente, sull’asse di Cristo rivolto al Padre che è il centro della vita e ne delinea, per ciò stesso, l’orizzonte.
Cristo Signore è un’assenza invocante una presenza storica, la sua alla fine dei tempi, la nostra hic et nunc nella sua humanitas sola vera icona di Dio.
La preghiera della comunità cristiana infatti, sottolinea Edith Stein, «è la preghiera di Cristo sempre vivente» e ha il suo prototipo nella preghiera di Cristo durante la sua vita di uomo.
Gli oranti sono sospesi come bilance della storia, nell’introduzione di qualche cosa di antico, la Parola donata e consegnata, e l’integrazione del nuovo, del momento presente con tutti i suoi eventi.
L’orante è abitato da testi antichi, ma non secerne pensieri pietrificati, si colloca tra il patente e il latente in quella chiesa in cui la storia credente riconosce l’icona della Trinità.
Nella liturgia si ascolta il soffio del respiro della comunità cristiana tutta immersa nella storia, ma anche vivente e lodante dinanzi al volto di Dio, inclusiva di ogni persona e non solo di alcuni gruppi.