31 Gen DOMENICA 30.01.2022
Luca, 21-30
Gesù nel commento al testo di Isaia non inserisce nessuna pratica religiosa, non annunzia dogmi o leggi etiche. Ma annunzia la nascita di un mondo nuovo, un mondo dove gli esclusi della storia sono posti al centro. Gesù in questo discorso cancella la paura di Dio. E’ un Dio che apre gli occhi a coloro che sono accecati dalla bramosia del potere e del denaro, dalla volontà di dominare gli altri.
Gesù inaugura l’inizio del superamento della giustizia come la intendevano i nazareni e ogni ebreo osservante. Non più “occhio per occhio”, la purità che divide ed emargina ma la nuova giustizia il cui nome è carità, fraternità, dove gli uomini si sentono fratelli perché figli dell’unico Padre, dove la comunione e la condivisione fondano le nuove relazioni in un mondo secondo il cuore di Dio.
I nazareni rifiutano Gesù, perché chiedeva un cambiamento radicale di vita, di abitudini, di mentalità. Trovano tanti pretesti per sfuggire all’ammonimento del profeta. Oggi più che mai il mondo ha bisogno di profeti. Anch’io sono invitato a essere profeta, cioè a testimoniare il vangelo con la vita e la parola, in tutte le situazioni di ogni giorno: famiglia, lavoro, scuola, letture, conversazioni, impegno di carità, attenzione all’uomo, ecc. Pertanto è opportuno porre a noi stessi questa domanda: come accolgo Gesù, che ogni giorno m’invita a cambiare i miei criteri di giudizio, di scelta, a verificare con serietà l’autenticità della mia vita nella preghiera, nella riflessione, nella solitudine del cuore. I Nazareni passano in fretta dallo stupore all’indignazione, dagli applausi alla violenza. Tutto parte da una richiesta: «Fai anche qui i miracoli di Cafarnao!». Quello che cercano sono i miracoli facili che deresponsabilizzano, vogliono un Dio che stupisce, che risolva i problemi e non che cambi il cuore. Il Dio di Gesù non si sostituisce a me, non occupa, non invade, non si impossessa. È un Dio la cui casa è il mondo popolato di vedove, di forestieri, di emarginati, di poveri. Eppure, che cosa c’è di più potente e di più bello di uno, di molti profeti, uomini dal cuore in fiamme, donne certe di Dio? Come gli abitanti di Nazaret, siamo una generazione che ha spento i suoi profeti, che ha dissipato il miracolo di tanta profezia che lo Spirito ha acceso dentro e fuori la Chiesa.
Affascinanti però non sono solo i profeti. Ciò che salverà il mondo non sono i profeti. Non coloro che hanno una fede da trasportare le montagne, ma coloro che sanno trasportare il loro cuore verso gli altri e per loro. Non i profeti, ma gli amanti salveranno il mondo. E se la profezia è imperfetta, se è per pochi, l’amore è per tutti. L’unica cosa che rimane quando non rimane più nulla.
Allora lo condussero sul ciglio del monte per gettarlo giù. Gesù passando in mezzo a loro si mise in cammino. Non fugge, non si nasconde, passa in mezzo; si apre un varco tra la gente mostrando che si può ostacolare la profezia, ma non bloccarla perché non si può spegnere l’amore. Riprende un cammino che durerà per venti capitoli fino a Gerusalemme, fino al Golgota. Se vogliamo essere discepoli del Maestro, prepariamoci a qualche incomprensione, a qualche scontro, a qualche scelta dolorosa. Davanti alla incomprensione Gesù non si chiude in se stesso, non discute, non litiga, ma si mette in cammino. Tira diritto per la sua strada. Cerca, indaga, esplora, percorre vie nuove. Il discepolato, la sequela, a volte nasce da una contrapposizione, da un superamento, da un percorso innovativo.
La nostra autentica missione in questo mondo in cui siamo stati posti non può essere in alcun caso quella di voltare le spalle alle cose e agli esseri che incontriamo e che attirano il nostro cuore; al contrario, è proprio quella di entrare in contatto con ciò che nel mondo si manifesta come bellezza, sensazione di benessere, godimento. Il chassidismo insegna che la gioia che si prova a contatto con il mondo conduce, se la viviamo nella verità con tutto il nostro essere, alla gioia in Dio.
L’uomo ha un’anima molteplice, complicata, contraddittoria ma il nucleo più intimo di quest’anima – la forza divina che giace nelle sue profondità – è in grado di agire su di essa e trasformarla, unificarla.
Ma per essere all’altezza di questo grande compito, l’uomo deve innanzitutto, al di là della farragine di cose senza valore che ingombra la sua vita, raggiungere il suo sé, deve trovare se stesso, non l’io ovvio dell’individuo egocentrico, ma il sé profondo della persona. La maggior parte di noi giunge solo in rari momenti alla piena coscienza del fatto che non abbiamo assaporato il compimento dell’esistenza autentica. Eppure non cessiamo mai di avvertire la mancanza, ci sforziamo sempre di trovare da qualche parte quello che ci manca. Da qualche parte, in una zona qualsiasi del mondo o dello spirito, ovunque tranne che là dove siamo, là dove siamo stati posti: ma è proprio là, e da nessun’altra parte, che si trova il tesoro che i nazareni non hanno riconosciuto ed accolto.