25 Feb DOMENICA 27.02.2022
Luca 6, 39-45
L’evangelista Luca in questo testo s’ispira alla corrente sapienziale, che va dai Salmi al Siracide, perché il «Sapiente» è attento al governo della vita ordinaria. Nella tradizione sapienziale il giusto è paragonato a un albero rigoglioso che porta frutti adeguati, saporiti e buoni, mentre il malvagio è sterile. Questa coerenza non nasce dalla volontà del singolo o dal suo sforzo ascetico, ma dall’innesto del giusto nella vita dello Spirito che lo irrora con la pioggia della sua grazia. In una fase del Cristianesimo primitivo, dove prevale la polemica anti-giudaica, cordialmente ricambiata, è inevitabile che il Giudaismo diventi l’albero sterile, senza più frutto. La posta in gioco è alta perché si tratta del cuore stesso della fede cristiana e della sua testimonianza. Se credere è scegliere di vivere all’insegna della novità di Gesù, allora vale la pena capire di che si tratta. Gesù, nell’annunciare il «suo» vangelo, ha centrato tutto sull’amore che mette in evidenza l’importanza delle relazioni umane come luogo d’incontro e di conoscenza del volto di Dio.
Più che tra gli uditori di Gesù, le contraddizioni che vengono segnalate si riscontrano nella comunità cristiana. Troppi si ergono a far da maestri, da giudici, e peggio ancora lo fanno con estrema incoerenza. Per redarguire gli errori, le manchevolezze di un altro, bisognerebbe esserne personalmente esenti, altrimenti si è in partenza ingiusti. L’evangelista vuole addirittura stroncare qualsiasi velleità di porsi come giudici dei fratelli, minando l’armonia, la coesione, la pace comunitaria. L’attacco è spinto agli estremi. L’evangelista dà a tali cristiani l’appellativo di ipocriti, che Gesù ha rivolto normalmente agli scribi e farisei. Il termine designa colui che recita una parte che non corrisponde alla sua condizione: si presenta come santo e può essere un delinquente. Il cristiano che giudica appare davanti agli altri come giusto, virtuoso perché fa pensare che egli non possiede i difetti che redarguisce negli altri, mentre di fatto, il più delle volte, ha più colpe di colui che disapprova o condanna.
Da questo tesoro del cuore del Maestro di Nazareth, escono rivoli di vita nuova. Quanti stimoli per una spassionata revisione di vita per costruire progetti di autentica eticità. Suggerimenti a ripensare i rapporti di corresponsabilità, di collaborazione ed attività che necessitano condivisioni ed integrazione operativa. Invito alla sincerità nelle relazioni, all’abbandono e, benché difficile, di riconoscere e prendere consapevolezza dei sedimenti di ipocrisia incrostati tra pieghe della coscienza, e di incoerenti parole che caratterizzano stucchevoli atteggiamenti e visioni di interessata fratellanza, prive di purezza di intenzioni e di parole autentiche. Occhi accecati da folti incensi, distratti a guardare in alto benché miopi, incapaci di mettere a fuoco quanto è vicino, che scambiano travi per pagliuzze. Molto meglio non sprecare energie per esibirsi nell’arte di falsari, come certi farisei di vecchia memoria, e fingere di essere esperti terapeuti, in cambio di applausi e vantaggi. Occhi accecati, miopie frustranti, parole e suggerimenti devianti, operazioni disarticolate, inefficienti, intemperanti, inopportune e disorganiche non apportano unità, armonia e crescita di vita di relazione, ma soltanto antagonismi e mistificazioni.
Prodotti di falsa coscienza e di carenza di sincerità nel cuore e nell’intelligenza. La bocca, insieme allo spirito e il sentimento, blatera e diviene come un pifferaio incantatore, rischia di distogliere dalla verità, dall’autenticità, appagata solo di certezze non sempre verificate e fondate. Sarà il caso di garantire abbondanza di coerenza ed armonia tra cuore e parola per allinearsi allo stile del Maestro di vita. C’è un legame profondo tra il cuore e ciò che lo abita e il comportamento esteriore. Abituato ad attingere alla fonte della Parola e impregnato dell’amore ricevuto da Dio, lo rende naturalmente visibile nelle azioni che compie.
È dal cuore buono che può scaturire una prassi autentica. Ogni credente è invitato a cantare canti di gioia, di lotta, di tristezza, ma sempre in un unico coro per esprimere il dono prezioso dell’unità attorno al Cristo.
La penetrazione in ogni ambito della società porterà tutti ad un atteggiamento di conversione e di misericordia. È un cammino di contemplazione che non esclude nessuno e nessun argomento, per dare vita a un processo nuovo di corresponsabilità per il Vangelo e per la Chiesa. La pari dignità di tutti porterà a un senso di fratellanza che non temerà di abbassarsi per aiutare la persona ferita lungo la strada, come ha fatto il Samaritano; al contrario, l’aiuto vicendevole sarà la caratteristica principale, a tal punto che la comunità cristiana si farà carico prima di tutto degli emarginati e dei meno fortunati. Il vangelo invita alla convivenza gioiosa attorno alla persona di Cristo. Così canteranno insieme, saranno solleciti nell’assistere chi ha bisogno, nell’andare verso le periferie e verso quanti hanno un cuore indurito, allo scopo di portare tutti alla comunione e alla pace che Gesù ci offre. È questo l’obiettivo per cui celebriamo l’Eucaristia: annunciare a noi stessi e al mondo che Dio è già sulle nostre strade e incontro a lui occorre andare con la fede di essere stati chiamati come profeti della parola che non passa, ma che apre al senso di Dio, attraverso lo spezzare il Pane tra le genti, non da soli, ma insieme per dare compimento a un’era di pace.