10 Dic DOMENICA 12.12.2021
TERZA DOMENICA DI AVVENTO
Luca 3, 10-18
Il brano di oggi riporta tre categorie di persone che si avvicinano a Giovanni con la stessa domanda: «Che cosa dobbiamo fare?», dichiarando così la disponibilità ad accogliere la novità. Le folle, i pubblicani e i soldati; oggi diremmo: le masse di disperati. Sono loro, i più lontani da ogni progetto di salvezza religiosa, che percepiscono l’arrivo di eventi straordinari e vogliono partecipare da protagonisti. È logico che chiedano cosa debbano fare, in quel contesto socio-religioso orientale, dove tutto è deciso dall’autorità, che resta sempre e comunque indiscussa e indiscutibile. Oggi noi siamo più attenti al valore della persona e all’importanza decisiva che ha la coscienza individuale per cui diremmo: «Chi e come dobbiamo essere?» Giovanni non chiede di cambiare vita, ma offre l’inizio di un percorso, la prospettiva da cui partire: la condivisione dei beni come condizione di libertà interiore; la giustizia senza frode e infine il rispetto degli altri e il rifiuto di arricchirsi ingiustamente a danno dei poveri. Convertirsi è cominciare a mettere ordine nella propria vita per muovere i primi passi verso un disegno globale della propria esistenza. La figura di Giovanni il Battezzante è una grande figura di psicoterapeuta, perché induce le persone a fare scelte adeguate, lasciando alla responsabilità individuale la prosecuzione del rinnovamento. Quando Dio ci chiede la conversione non sempre ci fa cadere di colpo da cavallo come Paolo di Tarso, ma spesso si adegua al nostro passo e, munito di pazienza, cammina con noi fino a quando non si fa sera perché convertirsi non è cambiare di punto in bianco, ma educarsi al mutamento degli stili di vita. Non spetta a Giovanni dire «come» deve cambiare vita chi pone la domanda del «che cosa devo fare». Giovanni offre la direzione di senso, spetterà poi a loro decidere il modo del cambiamento, quando incontreranno il Cristo. Giovanni è grande perché sa prospettare il futuro, non blocca gli uditori sulla sua persona, ma li proietta oltre se stesso, oltre il presente, verso l’incognita del futuro. È il compito dell’educatore autentico, genitore, prete, direttore spirituale, insegnante, catechista…: presentare la propria esperienza come trampolino per una nuova conquista, una nuova avventura di vita e di amore. Le richieste di Giovanni sono molto lontane dalle esigenze richieste dal discorso della montagna, eppure, per cominciare a intraprendere la via del regno è sufficiente mettere in discussione la struttura del proprio «io» per rimodellarla alla luce della prospettiva del regno. La prima condizione è prendere coscienza della propria personalità e indirizzarla all’incontro col Signore che viene a incontrarci. Giovanni battezzante ha consapevolezza della verità: egli non si appropria di una identità che non possiede: la folla chiede se non sia il Cristo (cf Lc 3,15) e, già in fase di dubbio, egli non distorce la ricerca, ma la riporta sulla direzione giusta facendo un passo indietro per mettere in risalto colui che viene dopo, il solo a cui spetta di pulire l’aia con la pala del giudizio e della pace. Gesù è l’uomo imprevisto. Egli deluse anche coloro che lo attendevano perché era la totale novità. Mi viene a mente quanto diceva a questo riguardo il teologo a cui spesso, più o meno apertamente mi ispiro, Dietrich Bonhoeffer. Esistono, nella società e nella vita individuale, due dimensioni diverse: una l’ordine, e cioè la dimensione che io chiamavo della giustizia; l’altra è quella del miracolo, ed è il momento della libertà gratuita, non codifìcabile mai. È in questo secondo momento – così infinitesimo che è difficile parlarne e così essenziale che guai a non parlarne – che sta la novità del Vangelo. Noi non siamo dei predicatori di leggi. Abbiamo trasformato il cristianesimo in una monotona ripetizione di leggi. Spesso si tratta solo di leggi codificate dal passato. Abbiamo svenduto il vino del Vangelo! Le nostre mense sono rimaste abbandonate dai poveri ed agli uomini creativi, perché le nostre mense non sono mai state mense di letizia. Anche le nostre eucaristie tentano appena di ritornare mense fraterne in cui la creatività sia possibile, ma in realtà, la legge, la codificazione, blocca perfino l’invenzione eucaristica, perfino la libera effusione dell’Evangelo. Eppure annunciamo Colui che ci ha battezzati con lo Spirito Santo e il fuoco. E se il Vangelo ha una possibilità storica, l’ha per questo. E, nonostante tutto, a dispetto delle leggi che ci soffocano, verrà la vampa del fuoco. Faranno di tutto, i tutori dell’ordine, per soffocare le fiamme, ma non riusciranno mai perché il fuoco serpeggia. E la storia del cristianesimo non è la storia dell’ordine ma la storia del fuoco. Ed io penso, spesso a questa enorme epopea anonima di profeti che son passati e che gli storici non hanno registrato. Gente umile, semplice, gente creativa, che ha inserito nel popolo di Dio in cammino verso il Regno, una fiamma, una ricchezza di cui, forse, noi siamo gli ignari eredi. Anonimi nel mondo, essi sono conosciuti dal Signore. E’ il Salvatore col vigore dello Spirito che riaccende cuori inariditi e produce universali cambiamenti. Essi lo annunciano ad un popolo che interroga e si interroga per ritrovare inizi di novità; che si raduna e ricostruisce un cuore nuovo; che ascolta e prega perché convinto che ogni rinnovamento è anche gratuità divina, è dono scambiato col proprio Dio. È Lui che alimenta, deterge, disseta con quell’acqua che gratuitamente sgorga e discende, che penetra ed elimina aridità, anzi rinvigorisce e distribuisce energie. Potranno riaprirsi sorgenti, abbattere ostacoli e far riaffiorare rivoli: oggi è il Natale dell’acqua: essa necessita per appagare sete di giustizia, per ridare bellezza e vita, ed anche per battezzare; essa è dono dell’umanità e per l’umanità: in essa rinasce e cresce il Popolo di Dio.