Guariento Mario | DOMENICA 02.01.2022
Tutte le opere, i commenti, le riflessioni di Don Mario Guariento
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DOMENICA 02.01.2022

03 Gen DOMENICA 02.01.2022

Seconda Domenica dopo Natale

I sentimenti di chi si avventura ad entrare nella selva di sentieri e percorsi, incastonati nel prologo del IV Vangelo sono come gli innumerevoli e fitti alberi in un bosco: entusiasmo, angoscia, paura di andare avanti e desiderio di tornare indietro, mentre nello stesso tempo qualcosa, quasi una forza estranea, obbliga a restare dove si è perché anche la paura ha il suo fascino e la voglia di scoprire. Il prologo è veramente una fitta foresta dai mille misteri affascinante e intrigante. «E il Verbo carne fu fatto». Mai audacia così ardita è stata osata, perché al contempo vuole contenere gli opposti irriducibili tra di loro: il divino e l’umano, l’infinito e il finito, Dio increato e l’uomo creato, passibile, dolente e mortale, fragile e debole, tutti codici iscritti in una sola parola: «carne». In appena 18 versetti, la Santa Trinità, di cui il Verbo è l’evangelizzatore e il «testimone», è un Dio nascosto nella povertà e fragilità della parola umana. Natale ci proietta con forza nella vita stessa di Dio, nel Santo dei Santi, nell’identità stessa di quell’uomo che ora e solo ora si manifesta a noi come il Figlio Unigenito e viene a raccontarci il volto del Padre.

Esiste un desiderio spesso inconscio e inespresso di verità e di contemplazione; un’aspirazione, una tensione ad una esperienza autentica e profonda di Dio. Tale desiderio sgorga spesso come reazione alla disumanità e al deserto di valori che infieriscono nella società contemporanea, come un grido che sorge da un uomo che si scopre lacerato e scisso, che aspira a una unità di cui non sa dove trovare la sorgente.
Anche in questo mondo, abitato dalla precarietà e intriso dell’angoscia e dell’inquietudine generate dalla caduta di tante fedi mondane, si rinnova la tensione ad una profonda ed autentica ricerca di Dio.

Alla luce della Parola possiamo allora darci una regola di vita tutta personale che quasi si identifica con un progetto: essere aperti a Dio. Sapremo dare e condividere solo se saremo pieni di lui; sapremo accogliere nella verità solo se Egli dimorerà in noi. Accogliamo pertanto in noi con la nostra preghiera e il nostro amore la presenza di Dio ed essa ci irradierà. Il Verbo ci chiama ad essere figli di Dio senza macchia dentro un  mondo in cui splenderemo con i nostri fratelli come un faro di luce. Che la nostra vita indichi senza paura e senza rumore il sentiero della sorgente e Dio stesso accoglierà e disseterà  le anime affaticate.

Giovanni non soltanto ci indica il dramma fra la luce e le tenebre, ma ce ne anticipa l’esito: la vittoria della luce, a dispetto di tutto. E’ l’ottimismo di Giovanni e di ogni vero credente che ‑ pur nulla lucida consapevolezza della forza del male e della contraddittorietà della storia ‑ trova la propria incrollabile serenità nella sicu­rezza della promessa di Dio e nella fede nella risurrezione del Cristo: senza dubbio sta qui l’origine dell’ottimismo di Giovanni… Le affermazioni di Giovanni sono un’aper­tura alla speranza. Benché le realtà della storia possano apparirci troppe volte oscure, contraddittorie, senza una ragione, la realtà divina (e quindi luminosa) è la ragione di tutto ciò che esiste e diviene. La presenza del Logos, luce e vita, accompagna tutto ciò che diviene… La storia trova la luce in Dio, non in se stessa. La strada della spe­ranza è nella dipendenza da Dio.

Contemplare è allora traforare le cose per arrivare a cogliere la presenza del Signore. Nella contemplazione vediamo Dio negli avvenimenti della nostra vita e impariamo ad assumerla con una passione e un amore più grande. Scopriamo con gioia che sotto il velo povero  e opaco della nostra umanità, Dio si comunica a noi e ci chiama. Lì noi accogliamo il suo invito e gli diciamo il nostro impegno di vivere da suoi figli praticando il perdono, il dialogo, l’ascolto, il servizio umile e fraterno, l’ospitalità.
E troviamo il tempo per fermarci davanti a Lui per confidargli le nostre pene, le speranze e le durezze della vita, ma anche ascoltare il suo cuore che batte d’amore tenero e dolce per noi. Nel silenzio dell’incontro ciascuno può così ritrovare la libertà di credere alla vita e di viverla anche nel dolore. Nel deserto della fame interiore, della sofferenza dell’anelito insaziabile… In questo silenzio pervaso di luce e di nostalgia spuntano le parole essenziali. Occorre lasciare che il silenzio ci parli.