Guariento Mario | INVITO ALL’ARMONIA E ALLA GIOIA
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INVITO ALL’ARMONIA E ALLA GIOIA

11 Apr INVITO ALL’ARMONIA E ALLA GIOIA

Capitolo 4, 4-9  Invito alla armonia e alla gioia.
Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati,
mia gioia e mia corona
rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!
La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!
Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti.
E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza,
custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.
In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato,
ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri.
Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me,
mettetele in pratica.
E il Dio della pace sarà con voi! 

L’ultima parte della lettera è dedicata innanzitutto a una serie di esortazioni che si rivelano estremamente eloquenti  per la nostra vita quotidiana.
In essa — dice l’apostolo — il cristiano è chiamato a vivere la gioia profonda nel Signore e quella salutare assenza di preoccupazioni che può germogliare nel cuore di chi sa che «il Signore è vicino» (Fil 4,5); radicato in tale saldezza, il credente sarà in grado di pregare con piena fiducia e di giungere a quella pace che niente e nessuno può rapirgli.

Questo abbozzo di ritratto del Paolo «pellegrino del vangelo» potrebbe essere un vademecum per ognuno di noi.
Tutto ciò si esprime poi in un frutto semplicissimo: un’esistenza pienamente umana, cioè vissuta «allo stato di uomo maturo, nella misura che conviene alla piena statura di Cristo» (Ef. 4,13).
È proprio quello che Paolo giunge a dire di sé, quando afferma: «Tutto io posso in colui che mi dà forza» (Fil 4,13).

Ma come definire con maggior precisione la gioia cristiana?
a) È gioia «nel Signore»: essa nasce dall’unione con il Signore, dall’essere «in Cristo», poiché è una gioia del Signore innanzitutto, del Dio che si rallegra e comunica la sua gioia ai suoi amati.
In questo senso la gioia è un dono, il dono messianico per eccellenza, e quindi una gioia che le prove non possono distruggere (Rm 12,12; 2Cor 7,4; 8,1-2), una gioia che niente e nessuno può rapire (Gv16,23).

b) La gioia deve essere continua: ecco perché al comando di gioire e rallegrarsi si accompagnano gli avverbi «sempre, incessantemente» (Fil 1,3-4; 4,4; 2Cor 6,10; 1Ts 5,16).Diventa uno stato interiore. Il dono diviene paradossalmente un impegno, e un impegno costante.
Quindi la gioia, come la pace, va ricercata con tutte le proprie forze (Rm 14,19; ciò significa, resistere alla tentazione della tristezza, la quale, se non combattuta, finisce per prendere possesso delle nostre esistenze.
È significativo, a questo riguardo, che la tradizione orientale, sulla scia di Evagrio Pontico, uno dei grandi padri del deserto, includa la tristezza  tra gli otto loghismoi: essa è vista cioè come una delle grandi dominanti contro cui il cristiano deve esercitarsi in una lotta incessante.
«La tristezza è come un verme del cuore, chi si lascia vincere dalla tristezza non conosce la gioia spirituale» (Gli otto spiriti della malvagità).

c) La gioia è finalizzata alla carità. Subito dopo l’invito alla gioia, Paolo raccomanda infatti che la mansuetudine dei filippesi sia conosciuta da tutti gli uomini (Fil 4,5a): la gioia è il terreno in cui può fiorire la carità, cioè un amore più eloquente di tante parole. Correlativi alla gioia sono la mitezza, la benevolenza, la bontà, la pazienza, il non essere collerici e troppo facilmente irritabili (Gal 5,22): tali atteggiamenti esteriori sono segno della gioia profonda, dell’ordine e della saldezza interiori.

«Non preoccupatevi di nulla»
Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza
fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti.
E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza,
custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.

Ebbene, secondo l’apostolo, al cristiano è possibile non essere preda dell’affanno, perché l’assiduità con il Signore, nutrita dall’ascolto obbediente della sua parola, gli consente di affidare a lui le proprie richieste.

E’ la preghiera — qui evocata nei due poli della supplica e del ringraziamento —proprio perché è espressione di una relazione fiduciosa con Dio, conosce come primo frutto il dono di un cuore che non cade preda degli affanni: «Non preoccupatevi di nulla, ma in ogni cosa fate conoscere a Dio le vostre richieste, con preghiere e suppliche e azioni di grazie» (Fil 4,6).

Infatti il non preoccuparsi e il non affannarsi sono dimostrazioni della fede in Dio, del l’adesione serena a lui compiuta nell’abbandono confidente, proprio del bambino in braccio alla madre (Sal 131).

Solo allora può fiorire la pace di Dio, quella pace che sorpassa ogni sensazione, ogni comprensione, ogni intendimento, perché è più grande di questi: la libertà dalle preoccupazioni e la vita di preghiera conducono alla pace profonda che custodisce i cuori e i pensieri in Cristo Gesù (Fil 4,7).

In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile,
quello che è giusto, quello che è puro,
quello che è amabile, quello che è onorato,
ciò che è virtù e ciò che merita lode,
questo sia oggetto dei vostri pensieri.
Le cose che avete imparato, ricevuto,
ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica.
E il Dio della pace sarà con voi!

La piena umanità del cristiano

Paolo intende cioè ricordare ai filippesi che tutto ciò che è veramente umano è cristiano e, viceversa, tutto ciò che è cristiano è autenticamente umano.

I cristiani sono chiamati a mostrare in mezzo agli altri uomini «un bel comportamento» (1Pt 2,12), che non consiste solo nel fare il bene, ma anche nell’avere un’umanità piena e matura, nel salvaguardare una qualità di vita decorosa, giusta, pura, amabile, rispettabile, lodevole.

Essi, pur dovendo compiere una rottura con la mondanità, hanno il dovere di vivere in modo bello, di avere una vita bella, buona e beata, a immagine di quella di Gesù.

Se altrove si legge che con Gesù «è avvenuta l’epifania della grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, per insegnarci a vivere in questo mondo» (Tt 2,11-12), ciò significa che Gesù è venuto certamente a salvarci, ma è venuto anche a insegnarci a vivere in questo mondo, a indicarci il cammino del senso, il cammino della vera umanità, mostrandoci la possibilità di vivere la vita umana come un’autentica opera d’arte.
Ma nonostante questa sobrietà paolina sul versante operativo si può ricostruire dall’insieme del piccolo brano conclusivo uno stile di vita cristiana. Esso è caratterizzato da alcuni tratti essenziali.

 Il clima di un’esistenza cristiana si può riassumere in due parole che si rincorrono nel dettato paolino: gioia e pace. L’una e l’altra affondano le loro radici nel terreno della fede, intesa come relazione vitale con Cristo Gesù o col Signore.

Va però subito rilevato che la gioia e la pace per Paolo, pur radicandosi nella fede e permeando l’intera personalità del credente, non sono un bene privato. Esse maturano e si affermano nel tessuto delle relazioni comunitarie, continuamente rinsaldate dall’impegno costante per conservare l’unità e la concordia.

b) La preghiera intensa e fiduciosa
Non importa quali siano le forme che essa assume: domanda, supplica, ringraziamento. Quello che conta è l’intensità del rapporto con Dio che raggiunge le radici dell’esistenza, il «cuore», e i pensieri dell’uomo. Pregare significa aprire davanti a Dio la propria esistenza con tutti i problemi quotidiani e le urgenze che l’assediano.

c) Rapporti umani giusti e felici
Solo chi ha una prospettiva più ampia dell’orizzonte storico può dare credito anche all’avversario. Invece la reazione violenta e fanatica è propria di chi ha fretta e gioca sui tempi corti.

Questa fonte «laica» del progetto cristiano non è in concorrenza con quella che si potrebbe chiamare «ecclesiale», perché fa appello all’autorità del magistero e all’autorevolezza dei santi.
Questa gioia, quindi, non è qualcosa di superfluo, ma nasce dalla consapevolezza di questo essere coinvolti nella comunione trinitaria e dal sentirsi continuamente sorretti da questo abbraccio di Dio che mette in piedi, salva e apre sempre nuovi orizzonti. Per cui il profeta può cantare:
«Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce quando si spartisce la preda» (Is 9,2).

L’antropologia cristiana, allora, alla luce della Rivelazione, è segnata costitutivamente dalla gioia. Anzi, la gioia, come scrive A. Louf, «è il terreno in cui ogni vita mette radici per essere in grado di esistere. Senza la gioia non potrenmio vivere, o meglio non potremmo sopravvivere».

Ci ricorda, ancora, Paolo VI:
«L’uomo prova la gioia, quando si trova in armonia con la natura, e soprattutto nell’incontro, nella partecipazione nella comunione con gli altri»”.

E Gesù prega perché questa comunione si realizzi tra i suoi discepoli: «Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi» (Gv 17,11). E subito dopo aggiunge: «Perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia» (Gv 17,13).
La relazione ha certamente diversa densità e si esprime quindi con manifestazioni eterogenee, ma se è vera essa va assunta sia quando si esprime nel semplice convenire per un banchetto di umana comunione, o per giocare o per far festa assieme, sia quando il rapporto si fa più denso nella realtà familiare e nell’amicizia profonda.

Credo che essa ci porti al centro del mistero della sua persona.
Paolo VI. E cos’è davvero vivere la gioia e sperimentare la gioia di vivere. Per gioia, forse, Dio ha creato il mondo: il suo Verbo fu e resta il suo traboccare. Per gioia l’ha redento: il banchetto è pronto, gli invitati stanno arrivando; qualsiasi debito è stato già saldato; nulla può più trattenere la sua gioia. Egli ci mette in movimento; ci radica e subito ci sradica per donarci una nuova stagione; rende la nostra vita unica e preziosa come una gemma, quale che sia; ci colma di una benedizione sorprendente e inattesa; ci rende fecondi, nella fedeltà al tempo che attraversa assieme a noi, come “pastore”, strada, tempio e casa assieme; ci guida e ci fa abitare in sé, «per la durata dei giorni» e per l’eterno.