11 Apr 10 APRILE 2022
DOMENICA DELLE PALME
Luca 22,14-23,56
La nostra vita, il nostro cuore, i nostri affetti, i nostri figli, le nostre famiglie, i nostri dolori, le nostre gioie, le nostre ansie, i nostri amori, i nostri fallimenti, le nostre malattie, le nostre speranze… tutto è proteso verso questa «settimana santa». Deponiamo tutto su questo altare che oggi è il nostro villaggio di Bètfage, sulla via di Betania oltre il monte degli Ulivi, da cui partiamo come siamo e con ciò che abbiamo per incontrare il Signore ed essere nel mondo donne e uomini di risurrezione e di dedizione. Con la domenica delle Palme inizia la Grande Settimana, chiamata dai Padri della Chiesa, la Settimana delle Settimane. Il cui punto focale di questa settimana sarà la notte di veglia che vivremo sabato prossimo. È la Settimana della memoria, vertice e fondamento di tutta la vita cristiana. Una settimana è solo un pugno di giorni in cui facciamo memoria di quella Prima Settimana, di oltre duemila anni or sono, che ha fatto del tempo un’eternità temporale e dell’eternità un tempo senza fine. Noi riviviamo i giorni della passione, della morte e della risurrezione del Signore Gesù perché Egli si fa nostro contemporaneo e compagno di viaggio, Maestro e cireneo. Ogni evangelista descrive il fatto dal punto di vista della propria comunità e quindi vi sono differenze, ma tutti sono concordi nel mettere in evidenza che è Gesù a muovere eventi e situazioni, a dirigere la sua vita e la sua passione. Gli uomini di potere, religiosi e statali, si affannano attorno a lui, ma egli resta il centro di ogni movimento e di ogni fatto. È lui a dirigere la storia della salvezza che passa attraverso la vita, la passione, la morte e la risurrezione come condizione per accedere al regno di Dio. Entrare nella nuova alleanza non è una passeggiata. Gesù non si lascia trascinare dagli eventi né si abbandona alla rassegnazione: egli vive gli eventi come luoghi privilegiati del suo incontro col Padre. Benediciamo l’ulivo e le palme simboli visibili dell’accoglienza che il popolo d’Israele fece a Gesù. Era la festa delle Capanne, che durava otto giorni, durante i quali gli Ebrei andavano fuori dell’abitato per vivere nelle capanne di paglia provvisorie, a ricordo dell’esperienza del deserto vissuta dai loro padri dopo l’uscita dalla terra d’Egitto. Al tempo di Gesù, in questa festa, caratterizzata da un clima di profonda gioia, si tagliavano rami di alberi sia per costruire le capanne sia per fare festa. In essa la liturgia ebraica prevedeva il rito dell’intronizzazione del Messia che sfociava nell’ultimo giorno, detto non a caso “La Gioia della Toràh”. Accogliendo Gesù il popolo semplice riconobbe in lui il Messia atteso. Anche noi oggi accogliamo Gesù non come Messia, ma come Redentore, come Signore che viene ad aprirci le porte del Regno che noi siamo chiamati ad annunciare e diffondere nel mondo. Iniziare la Settimana delle Settimane significa entrare nella logica della povertà estrema di Dio che si abbandona nelle mani della violenza degli uomini di potere per svuotare dall’interno il sopruso dei potenti e l’illusione che con la violenza possano governare il mondo. Il racconto della Passione, cuore del Vangelo, mette a nudo l’impotenza di Dio e svela la sua infecondità. Dio diventa sterile perché tutto lo spazio della sua divinità è occupato dal male del mondo, dalla violenza che domina uomini e donne e dal gemito della terra che è depredata della sua stessa esistenza.
Nel racconto della Passione, noi siamo contemporanei di Cristo che manifesta il volto di Dio legato al mistero del limite umano e, anche se volesse, non potrebbe più fare miracoli perché se ne facesse uno soltanto non sarebbe più un Dio incarnato nella fatica e nella fragilità, nel limite e nella contraddizione della vita di ciascuno e della Storia. Da oggi Dio è condannato e anche noi con lui: se vogliamo incontrarci dobbiamo, possiamo farlo nel cuore degli eventi e delle persone che custodiscono il segreto dell’identità di Dio. Così ha fatto Etty Hillesum e pregava: Sono tempi terrificanti, mio Dio. Stanotte, non mi era mai successo prima, mentre ero coricata con gli occhi insonni brucianti nell’oscurità, si stagliavano senza posa davanti a me innumerevoli immagini di sofferenza umana. Ti prometto una cosa, mio Dio, un’inezia: starò attenta a non appendere all’oggi, come tanti pesi, le preoccupazioni per il futuro; ma questo richiede un certo allenamento. Ciascun giorno, di questi tempi, ne porta con sé già abbastanza. Ti aiuterò, mio Dio, a non spegnerti in me, ma non posso prometterti niente in anticipo. Di certo una cosa mi diventa sempre più chiara: tu non puoi aiutarci, noi piuttosto dobbiamo aiutare te ed è così facendo che in fondo aiutiamo noi stessi. Tutto ciò che possiamo salvare in tempi come questi e anche l’unica cosa che conta è un pezzettino di te in noi stessi, Dio. Forse così potremo anche contribuire a dissotterrarti dai cuori martoriati degli altri. Sì, mio Dio, sembra che tu possa fare ben poco per modificare la situazione, che in fondo è anch’essa parte integrante di questa vita. Io non faccio appello alla tua responsabilità, anzi un giorno tu chiamerai in causa noi. E ad ogni battito del cuore mi è sempre più chiaro: tu non puoi aiutare noi, anzi noi dobbiamo aiutare te e proteggere in noi fino alla fine la casa dove tu dimori. Comincio a tranquillizzarmi di nuovo mio Dio, dopo il nostro dialogo. Ti parlerò ancora spesso nel prossimo futuro e in questo modo impedirò che tu fugga via da me. Senza dubbio vivrai con me anche tempi di magra, mio Dio, non alimentati così vigorosamente dalla mia fiducia, ma credimi, continuerò a lavorare per te, ti resterò fedele e non ti respingerò fuori dal mio territorio.