Guariento Mario | Domenica del Corpo del Signore Giovanni 6,51-58
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Domenica del Corpo del Signore Giovanni 6,51-58

09 Giu Domenica del Corpo del Signore Giovanni 6,51-58

La solennità del Corpo del Signore è un prolungamento della Pasqua che abbiamo vissuto in una notte di veglia attorno a un banchetto, consumato «in fretta e con i fianchi cinti» segno e modello di liberazione. Ora siamo seduti attorno al banchetto della alleanza nuova, senza più fretta, ma sempre pronti a ripartire per essere segno e strumento di ogni liberazione in favore di ogni singolo individuo e popolo. È il banchetto che anticipa quello della fine della storia. Dal banchetto al banchetto: è questa la dimensione storica della Chiesa pellegrina e di ogni credente che di Eucaristia in Eucaristia cammina verso la Gerusalemme celeste. Il «mistero» è tutto qui ed è molto chiaro ed evidente: Dio Padre, Figlio e Spirito Santo restano per sempre con noi, pongono la loro dimora in noi e fanno di noi la tenda dell’incontro e della comunione, l’appuntamento con la storia e il bisogno del pane della dignità, della vita, del lavoro e dell’amore. Ora noi possiamo accedere al mistero trinitario perché Dio s’incarna ancora una volta nella fragilità della parola annunciata e nella povertà del pane e del vino. Giovanni assume questa parola con tutto il suo peso di finitezza creaturale e la colloca nel cuore stesso di Dio. Giovanni non ha paura di affermare in Gv 1,14 che «il Verbo si è fatto carne», immettendo così il senso della finitezza, della creaturalità, della temporalità e della fragilità nella vita di Dio. Da questo momento l’eternità di Dio si coniuga con le parole del tempo e il tempo scorre verso una foce di eternità. L’incarnazione è la presenza di Dio nella natura umana per rendere possibile l’incontro suo con gli uomini, l’Eucaristia vuol dire la prossimità di questa presenza che si fa disponibile, sempre accessibile, sempre presente nella forma di cibo e di nutrimento. Tutta la fede cristiana è una tensione tra carnalità e spiritualità in forza dell’audace affermazione di Gv 1,14: «Il Verbo si è fatto carne». Il Cristianesimo non è nemico della materia, del corpo e della sensibilità, al contrario esso valorizza tutto ciò perché lo riconosce parte integrante dello spirito e lo assume nella sua creaturalità, svuotandolo di ogni presunzione di sacralità. «Questa è la mia carne… questo è il mio sangue» sono affermazione da brivido che non possono essere più intese nel senso materiale, ma siamo costretti dalle parole stesse ad entrare in una dimensione nuova che solo la rivelazione può esprimere: carne e sangue sono la natura del Figlio di Dio, la sua vita e questa vita comunicata a noi in forma di cibo che alimenta la vita. Si forma così un circuito di  comunione che alimenta in forma costante vita da vita.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               Il nostro corpo è fragilissimo perché espressione visibile della complessità del nostro spirito che vive anche di passioni, di tendenze, di fratture, di ansie, di bisogni, di aneliti, di stanchezze, di malattie, di fatica, di pesantezza, di forza, di gioia, di tenerezza… tutto ciò fa parte della fragilità umana e in quanto tale appartiene a Dio perché oggi «nella carne di Dio» noi celebriamo «un Dio di carne». Oggi è il giorno della «fisicità» di Dio il quale raggiunge il culmine di un lungo processo di incarnazione iniziata nell’esodo attraverso segni anticipatori del sacramento che oggi viviamo come realtà di fede. La festa di oggi ci dice che il Dio narrato da Gesù è un Dio «carnale» che si può toccare e mangiare, cioè si può sperimentare senza bisogno di scalare il cielo per raggiungerlo. Egli è ora e qui: «Io-Sono il Pane disceso dal cielo» (Gv 6,41) perché voi diventiate il comandamento del mio amore facendovi pane e vino da condividere con gli affamati e gli assetati che popolano la terra. «Io-Sono il Pane di vita» (Gv 6,35) perché voi siate la mia Eucaristia che si spezza per tutte le genti. Andiamo nel mondo e portiamo il «corpo di Dio» attraverso la profezia della nostra vita, nutrita dal «Pane del cielo», per dire ovunque viviamo la nostra professione di fede: «Ecco, io vengo, o mio Signore, per fare la tua volontà!». È l’«Amen!» che diciamo e che riversiamo su quanti incontriamo nel nostro cammino per affermare la realtà della presenza eucaristica, dicendoci così che l’Eucaristia è un’incarnazione nuova, anzi continua perché prosegue nel tempo e nella storia l’incarnazione del Verbo.