17 Gen Nozze di Cana. Giovanni 2,1-11.
L’evangelista Giovanni non dice che Gesù fece «miracoli» o «prodigi», ma li chiama «segni», perché sono gesti che rimandano a qualcosa di più profondo di quello che riescono a vedere i nostri occhi. In concreto, i segni che Gesù realizza orientano alla sua persona e ci rivelano il suo amore e la sua forza di salvezza.
Tutto avviene nella cornice di una festa di nozze, il simbolo più eloquente dell’amore, l’immagine migliore con cui la tradizione biblica evoca la comunione definitiva di Dio con la persona. La salvezza di Gesù Cristo deve essere vissuta e offerta dai suoi seguaci come una festa che conferisce pienezza alle feste umane, quando queste sono vuote, «senza vino» e incapaci di appagare la nostra sete di felicità totale.
Il racconto, tuttavia, suggerisce qualcosa di più. L’acqua può essere assaporata come vino quando, seguendo le parole di Gesù, viene «attinta» da sei grandi anfore di pietra, utilizzate dai Giudei per le loro purificazioni. La religione della legge, scritta su tavole di pietra, è giunta alla fine; non esiste acqua in grado di purificare l’essere umano. Questa religione deve essere liberata dall’amore e dalla vita comunicati da Gesù.
Per comunicare la forza di trasformazione di Gesù non bastano le parole, ma sono necessari i gesti. Evangelizzare non è solo parlare, predicare o insegnare. È necessario attualizzare, con fedeltà creativa, i segni che Gesù compiva per portare la gioia di Dio. Il racconto delle Nozze di Cana ci introduce anche in un altro dei temi che costituiscono la ricchezza della vita di ogni credente: la vita spirituale come nuzialità, come relazione d’amore, un amore che permea tutto il nostro vivere. In queste Nozze di Cana non ci viene detto né chi è la sposa, né chi è lo sposo. Non vengono nominati, sono due incognite. Perché Giovanni ha lasciato queste incognite? Perché, evidentemente, queste presenze senza nome e senza volto erano il simbolo, delle nozze tra Dio in Gesù Cristo e l’umanità. L’umanità è assunta come sposa di Dio in Cristo. Lo Sposo e Messia vuole entrare in una relazione con noi e ci chiama a lasciarci coinvolgere in questa relazione. Quale deve essere questa modalità, è detta da Maria: “Quello che egli vi dirà, Fatelo”. Ecco come Giovanni codifica in questa espressione tutto il programma di vita della Chiesa, del discepolo, di ogni credente in Cristo. La nostra fedeltà alla sponsalità non è data da un amore romantico o da un amore velleitario o utopico, ma da un amore concreto che fa, che opera che obbedisce, che realizza quello che il Signore vuole da noi. Sotto l’impulso della grazia e in piena docilità alla “parola”, il cuore si apre al mistero del Padre e del suo folle amore per questa nostra umanità. Quando parliamo dell’atteggiamento del cuore, cerchiamo di rivalutare il concetto di cuore che esprime più biblicamente l’interiorità dell’uomo correggendo e integrando il concetto di mente. Nella Bibbia il cuore non è la sede di un superficiale sentimentalismo, è invece l’«io» nascosto, la persona, l’intimità dell’uomo con i suoi diversi sentimenti, ricordi, idee, progetti e decisioni. Il cuore insomma rappresenta il centro della vita spirituale, l’interiorità dell’uomo. Nella lettura del brano di oggi è pertanto l’intera persona, con tutta la sua ricchezza interiore, ad aprirsi al mistero di Dio, contemplarlo e lasciarsi coinvolgere nel dialogo d’amore con l’Amato, ed è attraverso la frequentazione e la conoscenza dell’Amato che siamo introdotti in una audace avventura di vita mistica e ritroviamo l’opportunità di stabilire un incontro personale con il Dio vivo, nella fede e nell’amore.
Il testo di Giovanni ci apre ad una vita animata dalla fede, dalla speranza e dalla carità. La vita teologale non deve certo intendersi come un esercizio semplicemente intellettuale, bensì come qualcosa di profondamente vitale e complesso, che riguarda da vicino la nostra persona nella sua integrità e Giovanni insegna come tradurre, incarnare, rendere tangibile la vita di fede, speranza e carità del credente nel confronto quotidiano con i valori e le vicissitudini della vita.