Guariento Mario | Domenica Sesta dopo Pasqua. Giovanni 15, 9-17.
Tutte le opere, i commenti, le riflessioni di Don Mario Guariento
guarientomario, gauriento, don guariento, guariento mario, mario guariento, liturgia guariento
1398
post-template-default,single,single-post,postid-1398,single-format-standard,ajax_fade,page_not_loaded,,vertical_menu_enabled,side_area_uncovered_from_content,qode-theme-ver-7.6.1,wpb-js-composer js-comp-ver-5.2.1,vc_responsive
 

Domenica Sesta dopo Pasqua. Giovanni 15, 9-17.

02 Mag Domenica Sesta dopo Pasqua. Giovanni 15, 9-17.

Questo comandamento, carico di mistero e di promessa, è la chiave del cristianesimo: «Come il Padre ha amato me, anch’ io ho amato voi. Rimanete nel mio amore». Qui vi è il cuore stesso della fede cristiana, il criterio ultimo per discernerne la verità: solo «rimanendo nell’amore» possiamo camminare e sperimentare il Signore come un amico che stimola la nostra vita, lo cercheremo con gioia.
«Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». La gioia non è solo un sentimento, ma un modo di essere nella vita, di intendere e di vivere tutto, compresi i momenti difficili. Senza gioia è difficile amare, lavorare, creare, vivere un’adesione vitale a Cristo. La gioia è, in qualche maniera, «il volto di Dio nell’uomo», secondo il titolo di un recente libro di Alphonse Goettmann. Cristo è sempre fonte di gioia e di pace interiore. Coloro che lo seguono da vicino lo sanno, e a loro volta diventano fonte di gioia per altri. La gioia del credente non è frutto di un temperamento ottimista, non è il risultato di un tranquillo benessere, non va confusa con una vita senza problemi e senza conflitti.
La gioia cristiana nasce dall’unione intima con Gesù Cristo.
Voi siete miei amici: fondamento di questa amicizia è la gratuità dell’amore del Padre che l’uomo non può pretendere. Dice R.Schnackenburg: L’amicizia è l’espressione più squisitamente fine di ogni umanesimo: nell’amicizia vi sono la libertà della decisione gratuita e il calore della relazione interpersonale; due tratti centrali e fondanti del costitutivo dell’uomo nella sua dimensione espressiva. La relazione amicale è apertura, fiducia, confidenza senza riserve. Nasce così un profondo e squisito affetto, un reale volersi bene, che rifiuta quell’amarsi freddo come fosse un dovere pesante. Senza affetto reciproco la fede resta ideologia e non genera una realtà umana nuova. Occorre avere il coraggio di essere felici dentro un’amicizia che chiama a rinnovarci continuamente, anche là dove l’esistenza crea problemi di convivenza. La profondità e l’unicità dell’amicizia che il Signore ci dona si qualifica per questo scambio confidenziale, nel quale viene comunicata una rivelazione: l’uomo entra confidenzialmente nel mondo familiare del mistero di Dio! A questa comunicazione confidenziale fa seguito una fedeltà che “dà la vita”; Dio dà il suo segreto, e l’uomo dà il suo tesoro; ma siccome il segreto di Dio non è che il tesoro dell’uomo, in questo donarsi reciproco la vita raggiunge la sua massima espressione: Dio si rivela all’uomo, e l’uomo si rivela alla storia come immagine di Dio. Il segreto del mondo è nel cuore dell’uomo, nel quale si rispecchia il cuore di Dio. Nella rivelazione del segreto del Padre, nella comunicazione della conoscenza del mistero di Dio c’è la speciale amicizia che Cristo ha avuto per noi. Ciò detta la qualità che anche noi dobbiamo dare al rapporto con Lui: nel nostro dialogo amicale a volte c’è un distacco, un pudore, una superficialità, un anonimato di relazione, che ci chiude in noi stessi; ci sembra di parlare con Dio, ma forse parliamo solo con noi stessi. Gesù ci garantisce l’ascolto del Padre, e quindi l’efficacia della nostra preghiera, quando è fatta nella consapevolezza della relazione amicale con Colui che è l’amico della nostra vita. 

 Questo io vi comando: amatevi gli uni gli altri.  La nostra capacità di amare è in sostanza l’unica verifica e la migliore espressione della vita spirituale. Amore non possessivo, fatto di rispetto, servizio, affetto disinteressato che non esige di essere ricambiato, simpatia, anzi empatia, che ci porta a uscire da noi stessi per sentire “con” l’altro e nell’altro. Capacità di scoprire l’altro come una interiorità tanto misteriosa e profonda quanto la mia, ma differente e voluta da Dio.

La nostra vita e la nostra morte spirituali si giocano nel nostro rapporto con l’altro.

Il vero miracolo è l’esercizio dell’amore. Entrare in Dio è lasciarsi afferrare dall’immensa dinamica dell’amore trinitario, che ci svela nell’altro il prossimo e mette ciascuno di noi in condizione di farsi “prossimo” degli altri. E divenire prossimo è raggiungere Cristo poiché egli si identifica con ciascun essere umano sofferente, emarginato, ignorato.

Abba Antonio chiese ad abba Teodoro: “Dimmi una parola”. E lui, a gran fatica, gli disse: “Va’, Antonio, abbi compassione di tutti. la compassione ci permette di parlare liberamente a Dio.”                     

Gregorio Nisseno parla di “pathos” della passione di Dio per gli uomini, del “Dio sofferente”, del Dio patetico. L’amore “agapico” non è capriccio sentimentale né attrazione fisica, effimeri e indipendenti dalla volontà. È il presentimento dell’amore di Dio per l’altro.