Guariento Mario | Domenica ventinovesima. Marco 10, 35-45.
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Domenica ventinovesima. Marco 10, 35-45.

17 Ott Domenica ventinovesima. Marco 10, 35-45.

Gesù appare, mentre sale verso Gerusalemme, come segno del maggiore antipotere. Ma proprio nell’antipotere che è il dare la vita si rivela il potere di Dio, il potere di salvare. Su questo sfondo va vista la pretesa degli figli di Zebedeo che vogliono capovolgere il senso del messaggio del regno. Sono ciechi, sono gli antagonisti messianici. 

Il maestro parla loro di dono totale della vita; essi desiderano e pianificano l’ascesa al potere.

Agiscono come rappresentanti egoisti di un gruppo che prima era stato chiamato alla missione universale e che ora per via dell’egoismo dei suoi membri inizia a sfaldarsi.

Quando i due vogliono prevalere sugli altri, viene meno la comunione e la fraternità.

Gesù li ha scelti perché siano segno unitario di un potere, fondato sul dono totale di sé. Essi preferiscono fare leva sulla forza della propria persona e delle proprie visione terrene.

Fra voi però non è così. Questa è la norma della sequela intesa come rovesciamento rispetto al mondo: il potere, desiderio di dominio, si trasforma in gratuità, gesto di amore disinteressato per gli altri. Senza questo rovesciamento o rottura non può esistere discepolato. In questo modo Gesù vuole fondare la vita dei suoi seguaci sul medesimo progetto di dono totale di sé. Qui si esprime Dio, qui nasce la comunità cristiana.

Come i figli di Zebedeo, tutti noi vogliamo emergere, Gesù ci invita a immergerci. 

Emergere può sembrare un segno di forza, in realtà è un segno di paura; significa non saper stare al proprio posto. Manifesta insicurezza e sfiducia perché vuol dire non voler accettare la nostra realtà, voler fuggire in un’altra e mostrare verso gli altri la forza che non abbiamo invece verso di noi. Un Autore cinese del 4° secolo, dice: “Vuoi muoverti? Vuoi scorrere continuamente? Non essere un monte, che si muove distruggendo tutto, non essere un albero, che se si muove muore, sii la cosa più bassa che c’è: un fiume». Il fiume può attraversare tante valli, perché è la cosa più bassa che c’è, e solo il mare che è più basso di lui può arrestarlo. Più basso sei, più agile sei. Impara dal fiume.”  Nella vita abbiamo bisogno di cristiani disposti a spendere la propria vita per il progetto di Gesù, non per altri interessi. Credenti senza ambizioni personali, che lavorino silenziosamente per un mondo più umano. Seguaci di Gesù che si impongano per la qualità della loro vita di servizio. Per l’uomo d’oggi l’ideale è: essere un vincente. Un vincente non capisce esattamente cosa voglia dire servire. Piuttosto tende a servirsi di tutti, utilizzandoli per i suoi interessi e i suoi giochi. Ma cosa significa essere vincenti nella vita? Frequentemente, l’individuo autosufficiente e vincente finisce col sentirsi più fragile e perduto di quanto abbia mai potuto pensare. Poco a poco, può restare senza radici e gioia interiore, centrato su se stesso, chiuso nella solitudine del proprio cuore. Il rischio di ogni vincente è quello di cadere vinto dalla sua mancanza di amore. Secondo Gesù, se qualcuno vuole essere vincente nella vita deve sapere amare, uscire dal proprio narcisismo, aprire gli occhi ed essere sensibile alla sofferenza degli altri. Non si tratta di una pia considerazione cristiana. Quando crediamo di essere vincenti nella vita, forse la stiamo rovinando ogni giorno un po’ di più; nessuno è vincente se non rende più felice la vita degli altri. Uomini e donne normali, persone ordinarie che quasi nessuno valorizza, ma che trascorrono la loro vita mettendo amore e affetto intorno a loro. Persone semplici e buone che sanno vivere solo dando una mano e facendo il bene. Persone che non conoscono l’orgoglio e non hanno grandi pretese. Uomini e donne che si trovano al momento opportuno, quando c’è bisogno della parola di incoraggiamento, dello sguardo cordiale, della mano vicina.
Queste persone sconosciute sono quelle che rendono il mondo più abitabile e la vita più umana. Esse creano un’aria pura e respirabile nella nostra società. Di loro Gesù ha detto che sono dei grandi perché vivono al servizio degli altri. Esse stesse non lo sanno, ma grazie alle loro vite si fa strada nelle nostre strade e case l’energia più antica e genuina: l’energia dell’amore. Nel deserto di questo mondo, a volte tanto inospitale, dove crescono sempre solo la rivalità e il contrasto, sono piccole oasi in cui sgorgano l’amicizia, la fiducia e il reciproco aiuto. Non si perdono in discorsi e teorie. Amano cordialmente e prestano aiuto a chi ne ha bisogno.
È possibile che nessuno li ringrazi mai di nulla. Probabilmente non si faranno loro grandi omaggi. Ma questi uomini e queste donne sono grandi perché sono umani. In questo consiste la loro grandezza. Sono loro i migliori seguaci di Gesù, poiché vivono creando un mondo più degno, come ha fatto lui. Senza saperlo, stanno aprendo vie al regno di Dio.