Guariento Mario | Domenica diciassettesima. Giovanni 6, 1-15.
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Domenica diciassettesima. Giovanni 6, 1-15.

29 Lug Domenica diciassettesima. Giovanni 6, 1-15.

Il prato del pane e della libertà. Gesù scende dal monte e ricomincia tra la gente. Ricomincia a parlare al nostro cuore dell’amore e della libertà, della condivisione fino a sciogliere il nostro cuore impaurito. La preoccupazione di Gesù non è solo per il pane che manca come alimento fisico per tutta quella gente, la preoccupazione di Gesù e la sua compassione nascono dal vedere quei suoi figli affamati, denutriti spiritualmente e psichicamente. Gesù sa e sente che il cuore di quelle persone è affamato di conoscenza vera, di verità, di fraternità e comprensione reale della vita. Solo dalle mani di Dio possiamo ricevere ciò che ci può bastare, ciò che può sfamare a sufficienza, tanto da poterne anche avanzare. 

In questo capitolo, Gesù abbandona la sua terra, va al di là del mare e sale sul monte. Annuncia così il suo piano: aprire il cammino per un nuovo esodo, che porta il popolo alla libertà, a una nuova umanità. E come gesto iniziale compie un prodigio, per mostrare che in lui si manifesta l’amore di Dio che pensa all’uomo, e che quindi egli è autorizzato a condurre il popolo. In questo segno si sottolinea come Dio provveda al nuovo Israele che siamo noi, che sono i suoi figli.

Il racconto di Giovanni evoca chiaramente la celebrazione eucaristica nelle prime comunità. Per i primi credenti, l’eucaristia non era solo il ricordo della morte e risurrezione del Signore, ma rappresentava anche un’«anticipazione esperienziale della fraternità del regno, della condivisione dei beni». Forse oggi abbiamo bisogno di ricordare con maggiore forza che l’Eucaristia è segno della comunione e della fraternità che dobbiamo coltivare tra noi e che raggiungerà la sua vera pienezza nel compimento del regno. A volte ci poniamo il problema se si debba fare la comunione ricevendo l’ostia in bocca o sulla mano. E, nel frattempo, non sembra che ci preoccupi molto la celebrazione di un’eucaristia che non è segno di vera fraternità né stimolo a cercarla. Ciò nonostante, una cosa è molto chiara nella tradizione della Chiesa: «Quando manca la fraternità, l’eucaristia è di troppo». Questo non vuol dire che possiamo celebrare l’eucaristia solo quando viviamo tra noi una fraternità autentica. Ma non possiamo neppure continuare a celebrarla senza sentirci spronati da essa a impegnarci per un mondo più giusto, per relazioni più ricche di carità, di condivisione per crescere nello stile del servizio gratuito e amoroso. Spesso dimentichiamo che, per i primi cristiani, l’eucaristia non era solo una liturgia, ma anche un atto sociale, nel quale ognuno metteva i propri beni a disposizione dei bisognosi. In un noto testo del II secolo, in cui san Giustino descrive come i cristiani celebravano l’eucaristia settimanale, si dice che ognuno consegnava ciò che possedeva per «soccorrere gli orfani e le vedove, quelli che per malattia o per altra causa sono nella sofferenza, quelli che sono in carcere, i forestieri di passaggio. In altre parole, tutti i bisognosi». Nei primi secoli non era concepibile andare a celebrare l’eucaristia senza portare qualcosa per aiutare gli indigenti e i bisognosi. Cipriano, vescovo di Cartagine, rimprovera così una ricca matrona: «I tuoi occhi non vedono il bisognoso e il povero, perché sono oscurati e ricoperti da una fitta notte. Tu sei fortunata e ricca. Pensi a celebrare la cena del Signore senza curarti dell’offerta. Vieni alla cena del Signore senza offrire nulla. In tal modo sopprimi la porzione di offerta che appartiene al povero».

Abbiamo tutti bisogno di liberarci da una cultura individualista che ci ha abituati a vivere pensando solo ai nostri interessi, per imparare semplicemente a essere più umani, più fraterni e disponibili ad accogliere l’altro nelle sue diversità e nel suo peccato. L’eucaristia tutta è orientata a creare fraternità. Non è normale ascoltare tutte le domeniche e tutti i giorni il vangelo di Gesù senza reagire in alcun modo ai suoi appelli. Non possiamo comunicare con Gesù senza diventare più generosi e solidali, più ricchi di carità, di misericordia e di servizio. Non possiamo scambiarci la pace senza essere disposti a tendere la mano a coloro che sono più soli e indifesi di noi di fronte alla prova, a chi è diverso o anche nemico.