08 Ago Domenica diciannovesima. Giovanni 6.41-51
Gesù si trova a discutere con un gruppo di Giudei e fa un’affermazione di grande importanza: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre». E più avanti continua: «Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me».
L’incredulità comincia a sorgere in noi nel momento stesso in cui cominciamo a organizzare la nostra vita voltando le spalle a Dio. Dio rimane lì, come qualcosa di scarsa importanza, confinato in un angolo dimenticato della nostra vita come ha fatto Marta alla visita di Gesù. È facile allora vivere ignorandolo. Anche noi che ci diciamo credenti stiamo perdendo la capacità di ascoltare Dio. Non che egli non parli al fondo delle coscienze, ma noi, assordati dal chiasso che ci abita e dalla nostra autosufficienza, non sappiamo più percepire nel nostro intimo la sua presenza silenziosa.
Forse è questa la nostra tragedia più grande: stiamo scacciando Dio dal nostro cuore. Opponiamo resistenza all’ascolto della sua chiamata. Ci nascondiamo al suo sguardo amoroso. Ci affatichiamo cercando sicurezza e pace, ma il nostro cuore continua a essere inquieto e insicuro. Ci siamo dimenticati che la pace, la verità e l’amore nascono in noi quando ci lasciamo guidare da Dio. Tutto allora assume nuova luce, si comincia a vedere ogni cosa in modo più amabile e gravido di speranza.
Il concilio Vaticano II parla della «coscienza» come del «nucleo più segreto» dell’essere umano, del «sacrario» in cui la persona «si trova da sola con Dio», uno spazio interiore in cui «la voce di Dio risuona nell’intimità propria». Scendere fino al fondo di questa coscienza per ascoltare le aspirazioni più nobili del cuore, è la via più semplice per ascoltare Dio. Chi ascolta tale voce interiore si sentirà attratto da Gesù. Per credere è importante affrontare la vita con assoluta sincerità, ma è decisivo lasciarsi guidare dalla mano amorosa di quel Dio che conduce misteriosamente la nostra esistenza.
Quante volte l’abbiamo ascoltato: «La cosa veramente importante è saper vivere». Tuttavia non ci è affatto facile spiegare che cosa significhi per davvero «saper vivere». Spesso, la nostra vita è troppo abitudinaria e monotona, troppo grigia.
Ci sono però momenti in cui la nostra esistenza diventa felice, cambia totalmente, anche se in maniera fugace; momenti in cui l’amore, la tenerezza, la convivenza, la solidarietà, il lavoro creativo o la festa acquistano un’intensità diversa. Ci sentiamo vivere. Dal fondo del nostro essere diciamo a noi stessi: «Questa è vita».
Il vangelo di oggi ci ricorda alcune parole di Gesù che ci possono lasciare un pò sconcertati: «In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna». L’espressione «vita eterna» non significa semplicemente una vita di durata illimitata oltre la morte.
Si tratta, innanzitutto, di una vita di profondità e di qualità nuove, una vita che appartiene al mondo definitivo. Una vita piena, che va al di là di noi stessi poiché è ormai una partecipazione alla vita stessa di Dio.
Il compito più appassionante che tutti abbiamo davanti è quello di essere ogni giorno sempre più umani, e noi cristiani crediamo che il modo più autentico di vivere umanamente sia quello che nasce da un’adesione totale a Gesù Cristo. «Essere cristiani significa essere uomini; Cristo crea in noi non un tipo d’uomo, ma un uomo» (Dietrich Bonhoeffer).
L’evangelista Giovanni ripete in continuazione espressioni e immagini di grande forza per imprimere bene nelle comunità cristiane che esse devono sempre andare da Gesù per scoprire in lui la fonte di una vita nuova. « Io sono il pane disceso dal cielo». Non va confuso con una fonte di vita qualunque. In Gesù Cristo possiamo nutrirci di una forza, una luce, una speranza, un alito di vita che provengono dal mistero stesso di Dio, il creatore della vita. Gesù è «il pane della vita.» Proprio per questo non è possibile incontrarci con lui in un modo qualsiasi. Dobbiamo aprirci a Dio e «ascoltare quello che ci dice il Padre». Nessuno può provare una vera attrazione per Gesù «se non lo attira il Padre, che lo ha inviato ».
La cosa che più attrae in Gesù è la sua capacità di dare vita. Chi crede in Gesù Cristo e sa entrare in contatto con lui scopre una vita diversa, di una qualità nuova, una vita che appartiene al mondo di Dio. Giovanni arriva a dire che «se uno mangia di questo pane vivrà in eterno». Se non ci sentiamo attratti dal Figlio di Dio, incarnato in un essere così umano, vicino e cordiale, nessuno ci farà uscire dallo stato di mediocrità in cui solitamente siamo immersi, nessuno ci spingerà ad andare oltre quanto è stabilito dalle nostre istituzioni, nessuno ci incoraggerà a superare il limite delle nostre tradizioni. Se Gesù non ci nutre con la sua creatività, continueremo a essere prigionieri del passato, vivendo la nostra religione secondo forme, concezioni e sensibilità nate e sviluppatesi in altre epoche, per altri tempi che non sono i nostri. Ma allora, Gesù non potrà contare sulla nostra cooperazione per far nascere una nuova umanità che si fa pane come Lui per generare fraternità nella carità.