Guariento Mario | Battesimo di Gesù
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Battesimo di Gesù

10 Gen Battesimo di Gesù

Presso il Giordano, Gesù visse un’esperienza che segnò per sempre la sua vita. Non rimase col Battista. Non tornò neanche al suo lavoro nella città di Sefforis. Spinto da un impulso incontenibile, cominciò a percorrere le vie della Galilea annunciando la Buona Notizia di Dio. 
Com’è naturale, gli evangelisti non possono descrivere ciò che Gesù ha vissuto nel proprio intimo, ma sono stati capaci di ricreare una scena commovente per suggerirlo. È costruita con tratti dal significato profondo. «I cieli si aprono»: non esistono più distanze; Dio si comunica intimamente con Gesù. Si ode «una voce venuta dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. 
E’ quanto Gesù ascolta da Dio nel suo intimo: «Tu sei mio. Sei mio Figlio. Il tuo essere sta sgorgando da me. Io sono tuo Padre. Da questo momento in poi, Gesù lo invocherà solo con questo nome: Abbà, Padre. Da questa esperienza nascono due atteggiamenti che Gesù vive e cerca di trasmettere a tutti: una fiducia incredibile in Dio e una docilità incondizionata. Gesù confida spontaneamente in Dio. Si abbandona a lui senza diffidenze né calcoli. Confida in Dio, si sente figlio amato. 
Per questo insegna a tutti a chiamare Dio «Padre». Raccontano gli antichi rabbini che il Faraone mandò a chiamare Mosé e gli chiese di rivelare il nome del suo Dio. Mosé disse che il suo Dio non aveva nome. Il Faraone fece quindi consultare i saggi della corte, ma ne ebbe la stessa risposta. Allora convocò nuovamente Mosé e lo costrinse a rivelare il nome del suo Dio. Mosé inizialmente ribadì che ignorava il nome di Dio, ma poi aggiunse; «È vero, il mio Dio non ha nome, ma ha anche tutti i nomi, dal momento che di volta in volta assume quello che meglio esprime il suo ruolo nella vita degli uomini».
Faremo così anche noi, ricercando nella nostra storia «il Nome supremo», quello che traduce nel modo più immediato che cosa è Dio per ciascuno di noi.
La prima difficoltà che s’incontra è concretizzare Dio in un nome. La tendenza dell’uomo a concretizzare le più alte aspirazioni in qualcosa di palpabile e misurabile, questa tendenza la cui degenerazione sfocia nell’idolatria, si disorienta e smarrisce davanti all’infinita incognita del Dio immenso e sconcertante. Chi è Dio, in realtà, per me? Quando io pronuncio la parola «Dio» con che cosa sto mettendomi in sintonia? È una immagine, il volto di un vecchio venerando, una «cosa misteriosa»? In nessuno di questi casi, o di altri casi simili, si tratta veramente di Dio: occorre proseguire la ricerca dirigendola verso l’alto. Al riguardo s. Agostino confessa la sua drammatica ricerca, i suoi successivi disinganni e i rinnovati tentativi. Egli domanda alle montagne, alla terra tutta, e queste gli rispondono: «Non siamo noi, cerca più in alto». Il cielo, il sole, la luna, le stelle gli danno la medesima risposta: «No, non siamo noi il Dio che tu cerchi!».
L’orazione del Nome supremo ti suggerisce: riunisci tutto ciò che è stato finora per te Dio e tutto il presente desiderio di Lui in un solo nome. Può darsi che tutto ciò si possa riassumere in una parola sola e magari di una o due sillabe soltanto: Dio, Amore, Luce,… Cura che questa parola sia tra le più elevate, tra le più significative, quella che maggiormente risponde alla tua «fame e sete» di giustizia, di felicità, di amore, di Dio. Vale la pena impiegare in questo lavoro molto tempo. Una volta trovato il tuo Nome supremo gioisci come il mercante del vangelo che trovò il tesoro nascosto. Conserva questo Nome, che è il tuo miglior tesoro, nel segreto del cuore. Non lo abbassare mai usandolo nel linguaggio ordinario, parla di Dio servendoti di altri nomi. È vero che il suono del Nome non è Dio in persona, e in questo senso può tramutarsi anche in un idolo; ma è anche vero che esso rimane come un contrassegno segreto, come una chiave personale che ha il potere di aprire la strada a un incontro continuo con la inesprimibile realtà che il Nome rappresenta. Ripeti il Nome supremo la mattina, durante il giorno e a sera, ogni volta che senti fame e sete di Dio. Nelle prove, nel silenzio, nel rumore del traffico, nel mezzo delle pause del lavoro quotidiano… Questa parola ti servirà di scudo. Con essa vincerai la paura, l’angoscia e l’oscurità che ti sovrasta; con essa tornerai a riporre tutte le tue preoccupazioni nell’oblio. Il grande mistico indù Yogananda trova nella continua ripetizione della parola «Dio» il suo Nome supremo: “Quando dalle profondità del sonno risalgo la scala a spirale del risveglio, io ripeto in un sussurro: Dio! Dio! Dio! Tu sei il mio cibo, e quando interrompo il digiuno della notturna separazione da Te, Ti gusto e penso in silenzio: Dio! Dio! Dio! Ovunque vado, il faro della mia mente è puntato sempre su di te e nella lotta tumultuosa dell’azione il mio silenzioso grido di guerra è sempre: Dio! Dio! Dio! “
Il Nome supremo diventerà in ogni caso la risposta ad ogni ricerca e diventerà giorno dopo giorno comunione con Lui per diventare comunione con gli uomini.