04 Ago Domenica della Trasfigurazione. Matteo 17.1-9
Il giorno della Trasfigurazione, assegnato dal calendario liturgico al 6 agosto di ogni anno, è un giorno denso di storia perché oltre alla festa della Trasfigurazione ci richiama ad altri tre eventi che restano scolpiti nella storia della Chiesa e del mondo. Il 6 agosto del 1945 gli Stati Uniti sganciavano su Hiròshima la prima bomba atomica della storia e la seconda su Nagasaki quattro giorni dopo, il 10 agosto, ponendo così fine alla 2a guerra mondiale e dando inizio all’èra atomica nella quale ancora viviamo. Il 6 agosto del 1964 Paolo VI, eletto il 21 giugno 1963, pubblica la sua prima enciclica programmatica «Ecclèsiam sùam» in cui pone al centro della sua azione il dialogo come metodo di governo. Il 6 agosto 1978 Paolo VI muore all’ora del vespro, mentre il segretario termina la Messa. Moriva il papa del concilio Vaticano II e il più grande papa del secolo scorso insieme a Giovanni XXIII. Da una parte c’è la prospettiva del dialogo come metodo di vita e dall’altra la bomba atomica come soluzione dei problemi: i due fatti accadono nello stesso giorno, il 6 agosto, il giorno in cui la liturgia cattolica e orientale celebrano la «trasfigurazione», cioè il cambiamento radicale e la trasformazione della realtà. Matteo nel suo vangelo cita sette monti reali e due in parabola. Il monte della trasfigurazione è il quinto. Se ci fermiamo solo al raccontino edificante che termina con lo stupore di Pietro, finiamo per concludere che Pietro non ci fa una bella figura perché dimostra di non avere capito nulla. Con lui anche noi rischiamo di non capire nulla. Se invece leggiamo il testo dal punto di vista di Matteo, scopriamo che è un capolavoro di comunicazione, strutturato attraverso la cultura ebraica e le conoscenze degli ascoltatori: da una parte vi è l’intronizzazione di Gesù fatta davanti alla Toràh (Mosè) e alla Profezia (Elìa) e dall’altra sappiamo, grazie alle parole stupite di Pietro, che questa intronizzazione messianica avviene nella festa delle Capanne: con essa si aspettava e si sperava, si sarebbe manifestato e sarebbe giunto il liberatore. Quindi il messia si sarebbe manifestato durante la festa delle capanne. Pietro non dice una stupidaggine per fare un pic-nic all’aperto e starsene comodo a fare la siesta. Egli vuole celebrare con Gesù, Mosè ed Elìa la festa ebraica delle Capanne che ricorda la liberazione dalla schiavitù egiziana che si svolgeva in quei giorni. Il racconto della trasfigurazione è dunque il modo cristiano di dire con modalità ebraiche che Gesù è il Messia atteso da Israele e riconosciuto come Signore dai cristiani, che hanno anche la testimonianza autorevole e decisiva di Mosè ed Elìa. Celebrare l’Eucaristia è vivere in anticipo la trasfigurazione in comunione con il Signore e con i fratelli e le sorelle: la Parola si trasfigura in pane e in vino che diventano cibo che a sua volta si trasfigura nella nostra vita. In questo modo l’Eucaristia diventa un progetto di trasformazione che deve impegnarci nella nostra storia: abbiamo l’obbligo di trasformare il pane delle nostre possibilità in pane per tutti affinché non vi siano affamati nel mondo; abbiamo il compito di trasfigurare ciò che viviamo, facciamo e tocchiamo perché la pace possa chiamarsi giustizia. Gesù non resta sul monte della trasfigurazione, ma scende nel mondo della storia quotidiana per portare il vangelo della trasformazione agli uomini e alle donne che incontrerà sul suo cammino verso la città di Dio: la città della trasfigurazione definitiva che muta la morte in vita e la croce da strumento di morte in simbolo di misericordia e di redenzione.