Guariento Mario | Domenica XIV
Tutte le opere, i commenti, le riflessioni di Don Mario Guariento
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Domenica XIV

11 Lug Domenica XIV

Matteo 11,25-30

Incontriamo nel vangelo di Matteo questa preghiera di Gesù che non trova equivalente nella Bibbia, Gesù infatti la mutua dalla preghiera giudaica in uso al suo tempo. Tutte le preghiere dell’Ebreo cominciano sempre con la «benedizione di Dio», riconosciuto così come sorgente della propria fecondità. L’espressione «Signore del cielo e della terra» non esiste nella Scrittura, ma esiste nei formulari della preghiera quotidiana ebraica. Dopo il lamento di Gesù sulle città della Galilea che hanno rifiutato il messaggio del Regno, e l’hanno rifiutato perché sono città dominate dalla sinagoga, dall’insegnamento degli scribi e dei farisei, Gesù benedice quelli che lo hanno accolto. Egli rende lode a Dio, suo Padre, e loda la semplicità di cuori e di intelligenze che, tra la complessità del reale, del fare e del pensare, sanno intuire e comprendere l’essenziale. I piccoli sono grandi, perché disponibili ad accogliere armonie di sentimenti e profondità di pensieri. Chi è abituato a rapportarsi alle situazioni, agli avvenimenti, alle persone, in base a un codice, in base a una legge, non può comprendere il volto di un Dio che è amore, un Dio che crea l’uomo e ama e difende la sua creatura. Chi invece ne fa una dottrina, una legge, nella quale l’osservanza di comandamenti, di precetti, è più importante del bene dell’uomo, ebbene queste persone rischiano di avere come un velo davanti agli occhi che impedisce loro di scoprire il disegno d’amore di Dio sull’umanità. Gesù, dopo aver preso la distanza da questi sapienti, da questi dotti, che fanno della legge un piedistallo per dominare il popolo, si rivolge proprio a quelli che sono oppressi ed esclusi. Ed è un invito di una forza, di una tenerezza incredibile. “«Venite a me voi tutti»”. Gesù, Maestro di vita, dal cuore carico di umiltà ereditato da sua madre Maria, garantisce presenza, disponibilità a farsi compagno di quanti sono fragili e scorati dalla vita. Questi sono quelli che si lasciano prendere in braccio dall’amore di Dio e per questo comprendono che c’è qualcosa che vale di più che stare in piedi da soli sui propri ragionamenti: è sentirsi sempre di Qualcuno. C’è un giogo costruito dagli esseri umani, che racchiude comandi, precetti, osservanze, intransigenze, e c’è il giogo di Gesù, che è accoglienza dell’amore, della misericordia di Dio, dell’amore di fratelli e sorelle. Il giogo di Gesù non è senza fatiche: ma altro è faticare in quanto obbligati da precetti, altro è faticare perché si ama e si riceve amore. Solo i piccoli capiscono questa rivelazione, oggi come allora. Prendere il suo giogo significa andare alla scuola di Gesù che è il povero di spirito, il mite che eredita la terra con la sua morte, l’assetato e affamato di giustizia, colui che piange su Gerusalemme e sull’umanità che rifiutano la consolazione di Dio, il poeta della pace, il puro di cuore perché egli vede Dio. Se vogliamo imparare ad essere miti e umili, dobbiamo imparare a saper sorridere e l’Eucaristia è la scuola in cui Dio ci sorride con la mitezza del pane e l’umiltà della parola che si fanno nostro cibo e nostra forza.