Guariento Mario | NATALE
Tutte le opere, i commenti, le riflessioni di Don Mario Guariento
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NATALE

23 Dic NATALE

RIFLESSIONE

Non può essere lieto
il mio canto
in quest’alba gelata
di nebbia.

Le nostre cetre sono appese. Natale chiede a tutti di cantare. Noi non possiamo. Eppure, all’improvviso, la cetra riprende a suonare. È la cetra della vita che canta: è il vagito di un bambino che nasce. Quel vagito è il canto della speranza che rinasce: decisa, indistruttibile, inevitabile. Un vagito salva sempre il mondo.
Il canto di quel vagito ci appartiene. È il canto più intimo del nostro intimo. Nel nostro urlo di dolore per i corpi separati, abbandonati nella loro triste nudità, stiamo forse urlando, senza saperlo, la rinascita della vita. È come se il vagito del bambino desse il là ad ogni canto, ad ogni urlo. E ad ogni nuova vita rinascono nel mondo il sorriso e la speranza. Ad ogni nascita, ad ogni vagito, sappiamo che una relazione d’amore è diventata carne per ridare amore. La pandemia ci rimanda all’essenziale, e ci conduce a riscoprire l’esperienza più naturale e non voluta della nostra esistenza: la nascita. La vita che ci fu consegnata all’origine, la sentiamo dentro di noi viva, fremito, bisogno attivo, non più esperienza subita. Ecco perché il primo vagito, seppur traumatico, rimane oggi essenza e segno della vita che inizia.
E che continua.
Dentro questo coronavirus che ci attanaglia e impaurisce esplode in maniera decisiva il bisogno di riascoltare il suono genuino della famiglia, quel vocio gratificante degli affetti. È fame di vicinanza e di calore, da toccare e da carezzare, fame che accende. Sentiamo fino in fondo il desiderio di quell’abbraccio che non possiamo scambiarci, comprendendo, in questo Natale malato di solitudine, come quell’abbraccio sia il più grande dono della vita.
Siamo fatti per cadere nelle braccia e sul corpo di chi ci ama, di chi ci invoca e ci attende. Ricordiamoci che solo l’amore che proviamo e che ci doniamo può riscattare i dolori e le sofferenze della vita. Ritroviamo l’intima fiducia che la realtà, anche la più dura, può essere cambiata: dipende da come noi la ricreiamo nel nostro mondo interiore.
In questo tempo sospeso e incerto dobbiamo saper stare. Sostare diventa il nuovo tempo: quello della precarietà e dell’attesa che non provoca angoscia ma ci prepara a far fronte a quello che deve accadere. È un bambino consegnato al mondo. È la vitalità che ci soccorre. È la cetra della vita e della relazione che ricomincia a suonare.