Guariento Mario | AVVENTO 1
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AVVENTO 1

01 Dic AVVENTO 1

Non solo nella stagione liturgica dell’Avvento, ma ancor più profondamente abitando nel tempo teso fra una prima e una seconda venuta del Signore, potrebbe anche in noi attivarsi il meccanismo del religioso. Tentazione morti­fera, giacché, rispetto all’imprevedibile del tempo e della storia, cerchiamo incessantemente di rassicurarci sulla loro conclusio­ne o risoluzione, sapendo della venuta certa del nostro Dio che squarciando il velo dell’esistente rivelerà la verità di ogni esi­stente, dissolvendo tutte le potenze e le apparenze del mondo.

Un meccanismo che ha creato innumerevoli e infauste contrapposizioni, fra il tempo e l’eter­no, l’al di qua e l’al di là, l’interiorità e l’esteriorità, il sacro e il profano…

Paradossalmente, quell’avvento al mondo di Dio in un corpo umano, che è un’assunzione del terrestre nel segno di una benedizione accogliente, di una lieta notizia, si è muta­to in un cattivo finito, in una percezione del contingente inteso come perdita per qualcosa di meglio che verrà dopo, altrove.

Mi sembra che la dimensione dell’Avvento crei invece uno scompiglio in queste separazioni e v’introduca un fattore nuovo. Dio non ha il suo spazio ideale disgiunto da noi in un aldilà celeste, né fornisce un’assi­curazione sulla vita, ma si mescola fino a confondersi con il mondo, ne esaspera magari il dramma, entra e si accompagna al processo travagliato dell’esistenza quotidiana per farvi brillare un sovrappiù inaudito di grazia.

Il Dio della vita si mette in cammino per i molti sentieri del­la storia e dei tempi, non per esservi posseduto stabilmente ma come un nascente che ci coglie sempre di sorpresa, sorgendo qua­le desiderio, attesa, evento, scoperta, fe­deltà, l’immagine di un domani al di là dell’oggi immediato.

Forse, quanto nell’incarnazione si annunzia è un avvento diffuso, germinale, per questo la doman­da evangelica «Quando ti abbiamo visto?» ci rimanda alla realtà abitata da infinite presenze e assenze; ci rende sensibili agli innumerevoli e fuggevoli passaggi di Dio nei paesaggi dell’ani­ma, negli arcipelaghi delle emozioni, nei naufragi della mente, nelle vicende drammatiche e liete dei nostri giorni… e lui resta Presenza sempre nuova.

Noi non sappiamo esattamente che cosa ci attende e non lo possiamo sapere. Intuiamo che può assomigliare a un cielo, nella cui luce le cose e gli avvenimenti si illuminano e si relazio­nano, o a un amore che suscita stupore e fascino verso un senso ultimo, donato, inscritto frammentariamente nella materia e nella coscienza, una forza che ci alimenta e ci sostiene, anche quando dobbiamo attraversare le prove più ardue della vita.

È forse per questo che l’Avvento non è qualcosa che si lascia definire, ma piuttosto un ascolto, un’attesa, un’intesa, un motivo che può trovare il suo modo d’essere in molte prospettive, tanti quanti sono i modi con cui gli esseri umani celebrano gli avventi del mondo, di sé e del divino.