20 Ott Domenica ventinovesima. Matteo 22, 15-21
Oggi l’espressione date a Cesare… date a Dio… è comunemente interpretata e citata come fondamento della separazione tra Stato e Chiesa. Con questa frase Gesù non stabilisce un equilibrio o una separazione tra il potere civile e quello religioso. Gesù, non si lascia sfuggire l’occasione per richiamare i capi alla verità della loro coerenza e li invita a ritornare «al principio», cioè alla relazione originaria con Dio da cui si sono allontanati, invitandoli a collocarsi nella prospettiva della fedeltà alla Alleanza. Egli dice che se i farisei, che contestano i romani in quanto occupanti, ma con cui scendono ogni giorno a compromessi, fossero coerenti, dovrebbero rifiutarsi di usarne il denaro che è il segno più evidente di quell’autorità che essi vogliono negare; col loro comportamento, invece, finiscono per riconoscerne anche la pretesa divinità dell’imperatore e di essere complici dei romani. Gesù afferma l’incompatibilità della coscienza davanti a qualsiasi potere autoritario che si ammanta di divinità. A questo punto e dentro questo contesto di fede, si pone il problema del rapporto tra il potere politico/economico e l’ambito religioso e spirituale. La persona non vive fuori della storia, ma sulla terra, dove nulla è così netto da spaccarsi con l’accetta, per cui è necessaria una vigilanza costante per non porre in atto un «sistema di confusione», una struttura di connivenze che portano a gestire benefici e utili, smarrendo la dovuta coerenza. Se si accettano i benefici economici dal sistema politico o dal governo di turno (denaro, leggi protettive o di scambio) non si può contestare lo Stato, il quale ha diritto di imporre le sue leggi e di pretendere che siano osservate. Lo Stato può pretendere obbedienza da chi usufruisce dei vantaggi della sua protezione. Chi vuole contestare l’autorità e la legittimità dello Stato «è lecito pagare le tasse?», deve rinunciare ai privilegi e ai vantaggi anche irrisori che lo Stato garantisce. Pertanto il vangelo di per sé non pone un’opposizione tra «Cesare» e «Dio», che sarebbe illogica, perché il regno di Dio, pur non confondendosi con il regno di Cesare, non è fuori del territorio su cui governa Cesare. Gesù non parla assolutamente di separazione tra «Stato e Chiesa»: questa è un’indebita conclusione estranea al testo, come se vi fossero due autorità equipollenti, distinte, ma convergenti che si dividono l’uomo: la parte spirituale alla Chiesa e la parte materiale allo Stato. Questo ragionamento è tipico di una concezione della società come «cristianità» che è il vero regno della confusione tra Stato e Chiesa dove i governi realizzano civilmente ciò che la Chiesa stabilisce sul piano spirituale ed etico. Non c’è opposizione tra regno di Cesare e Regno di Dio. C’è diversità di fini e di mezzi. Il Regno di Dio non è di questo mondo nel senso che non è la somma dei regni della terra, ma è in questo mondo perché si propone a ogni regno della terra, ad ogni cultura, ad ogni civiltà, ad ogni condizione. Il cristiano non è alternativo, ma è dentro il mondo in cui deve lavorare come il sale e il lievito, cioè impegnandosi in una propria trasformazione fino a scomparire e diventare una cosa sola con la realtà che lo circonda. In questo programma non cerca alleanze e scorciatoie, ma offre solo una proposta come appello alla coscienza libera che tanto viene coinvolta quanto più è rispettata e valorizzata. Il cristiano non ha soluzioni cristiane, ma ha solo se stesso che si dona in modo gratuito nella logica della croce in vista della risurrezione, dove si compie il mistero: la morte è premessa della vita. La prospettiva che Gesù pone con la questione del tributo a Cesare è una prospettiva soprannaturale all’interno del criterio di incarnazione che è la logica del chicco di grano che deve cadere in terra e morire se vuole portare frutto. Il cristiano non lotta per avere uno strapuntino di potere nel mondo, ma lascia ogni potere per assumere in pieno ciò che gli compete e gli appartiene di diritto: la testimonianza. Non esiste un’etica cristiana in contrapposizione a un’etica umana o naturale. Esistono persone che non fanno riferimento ad alcuna Chiesa e forse neanche a Dio, eppure conducono una vita morale ineccepibile, spesso anche superiore a quella di credenti conclamati. Per un credente è più facile perché ha la forza e la luce di un fondamento fuori di sé; per il non credente o per l’ateo è più difficile perché di volta in volta devono fondare la loro scelta e il loro agire all’interno della loro coscienza. L’eucaristia che celebriamo ci restituisce la nostra immagine nell’immagine del Figlio, Parola e Pane che si consuma per servire e non per essere servito.