16 Ott Domenica Ventottesima. Matteo 22,1-14
Nei desideri di Dio questa vita terrena doveva essere una festa meravigliosa, un’esperienza irripetibile e di straordinaria bellezza per tutti i suoi figli, in nome del Figlio, secondo la potenza e la fantasia dello Spirito. Doveva essere un’occasione unica perché l’umanità potesse evolversi spiritualmente e intellettualmente, così da essere preparata a vivere per sempre nella gioia e nella pace.
L’umanità non ha accolto l’invito di Dio, non ha ascoltato la sua voce, ma si è lasciata ingannare e addestrare dai maestri di falsità che hanno addestrato gli uomini a venerare il culto del campo.
Per primo, il campo da possedere sono state le persone, ridotte a oggetti nella schiavitù, poi si è passati al possesso privato dei beni e delle risorse della terra. Il culto del campo si è propagato, come una patologia cancerogena, proprio attraverso quelle che noi definiamo le generazioni civilizzate e religiose. Il culto del campo, degli affari e della violenza ha distrutto la nostra vita e sta distruggendo la nostra terra, gli equilibri stessi della sopravvivenza e, rifiutando l’invito divino, ha rovesciato nel fango la festa della vita. Tu, uomo di oggi e di ieri, sei stato tra i primi ad aver compreso che la vita è il più sublime invito che Dio poteva farti, invito da vivere nell’amore, nella festa, nella pace, nella bellezza, nel benessere e nell’abbondanza per tutti, ma non hai voluto saperne, non hai voluto partecipare secondo i disegni di Dio, hai usato questo invito e queste conoscenze per la tua sete di dominio, per la tua avidità, per il tuo potere e prestigio. Tu eri tra quelli che non hanno potuto conoscere l’invito dall’inizio, ma poi la vita ti ha aiutato e stimolato, in tutti i modi e con ogni conoscenza utile, a comprendere il sublime invito di Dio. Era l’invito a vivere la vita nel modo più bello e pieno possibile, ma tu non te ne sei curato affatto, ti sei dedicato al tuo lavoro, hai coltivato i tuoi affari, hai seguito i tuoi interessi, hai tradito il tuo compito, hai sempre ridicolizzato e poi ucciso i profeti e i servi rinnegando l’invito stesso, non curandotene affatto, o deridendo e ridicolizzando Colui che ti ha fatto l’invito. Oppure ti lasci trascinare dentro la “festa” – la vita nella fede -, solo per tradizione e abitudine, per paura, per opportunismo, per sete di successo o perché non sapresti fare altro, ma senza gioia, con il cuore non contento, oscurato da rancori e cattiverie, con la mente piena di pensieri negativi e giudizi di condanna.
Ma di cosa deve essere fatto questo vestito così importante, che ti cacciano fuori dal banchetto della festa se non ce l’hai?
La misura del vestito è la tua e solo tua: essere te stesso nella verità e nell’umiltà.
Il suo tessuto è la consapevolezza che sei stato salvato, amato, guarito in ogni istante della tua vita. Tessuto di gioia e gratitudine, umido di lacrime e di sudore per aver seminato il bene con tutte le tue forze. Tessuto di carezze, tempo e beni dati anche a chi non poteva restituirli. Tessuto non dei trofei delle tue competizioni e delle tue caduche vittorie, o dei tuoi brontolamenti continui, ma delle sconfitte e dei dolori che hai accettato senza rabbia e violenza, dove hai imparato a essere umile e sincero.
Ma soprattutto il tuo vestito deve brillare di gratitudine gioiosa e commossa per l’invito alla vita divina che Dio in persona ti ha rivolto con tanto amore.
Con profonda gratitudine, il vestito da festa lo puoi riconoscere dentro di te se sei in pace e nella vera gioia interiore.