09 Ott Domenica ventisettesima. Matteo 21, 33-43
Questa parabola è probabilmente la più dura e diretta che sia stata raccolta nei vangeli come denuncia contro i dirigenti religiosi del giudaismo. È stata redatta certamente dopo l’anno 70, come riflessione sul disastro sofferto dal popolo ebraico con la caduta di Gerusalemme nella guerra contro i romani, che rasero al suolo la città santa e distrussero il tempio. La cosa più
ragionevole è pensare che i cristiani hanno visto in quella rovina del popolo ebraico Dio che toglie la vigna ad Israele e la consegnata ad un altro popolo che l’avrebbe fatta fruttificare.
Gesù non ha mai pensato di sostituire il popolo d’Israele con un altro popolo perché «Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio» ma ha invitato Israele alla conversione e a riconoscere «i segni» di Dio in mezzo ad esso, fino ad arrivare al «segno» supremo di dare la sua vita.
È fondamentale sottolineare che, per quanto negativa possa essere l’interpretazione che si dà alla parabola, mai si potrà spiegare come un rifiuto totale del popolo di Israele in blocco. Questo, oltre ad essere una falsità, significa fornire argomentazioni all’antisemitismo, di cui in buona parte noi cristiani siamo stati responsabili.
Ma a quanto detto bisogna aggiungere qualcosa che è importante: il Vangelo non è stato scritto per fomentare il disprezzo o il risentimento contro i giudei. O contro qualcuno. Il Vangelo è la memoria di Gesù e della sua presenza nella comunità cristiana. Questa memoria e questa presenza ci dicono che anche noi cristiani possiamo pensare di essere i nuovi proprietari della vigna del Signore, poiché è stata consegnata a noi. No. Nessuno è padrone della vigna. Il padrone è solo Dio. La più grande tragedia che può accadere al cristianesimo di oggi e di sempre è che si uccida la voce dei profeti, che i sommi sacerdoti si sentano padroni della «vigna del Signore» e che, noi tutti, cacciamo «fuori» il Figlio, soffocandone lo Spirito. Ogni cristiano può correre il rischio di deludere le aspettative di Dio. La verità, la fedeltà, sono un bisogno primario del cuore umano. Sono molte le forme che assume questo bisogno di verità, la fedeltà su noi stessi, sul cuore e le azioni di chi amiamo, sulle fedi e gli ideali che hanno edificato e nutrito la nostra esistenza. Una di queste è l’urgenza vitale, che un giorno arriva all’improvviso, di verificare se siamo finiti dentro una grande auto-illusione.
Uccidendo Gesù, gli Ebrei lo escludono dalla città santa, ma è vero anche il contrario: Gesù lascia la città santa che rimane orfana del suo Signore ma anche resta. Gerusalemme resta orfana, ma in essa non scorre il sangue perché nemmeno nell’ora più buia del tradimento, l’ora della morte, essa può essere macchiata dal sangue del suo Messia.
L’Eucaristia ci insegni a verificare la qualità della nostra vita perché noi siamo la vigna che il Signore cura per produrre il vino dell’alleanza e per produrlo in abbondanza non solo per noi, ma per quanti abbiamo la grazia d’incontrare lungo il nostro cammino. Ogni discepolo per essere autentico ed avere la capacità di maturare progetti di vita evangelica, è necessario coltivi in sé tre grandi atteggiamenti: l’atteggiamento del servitore diligente. Questo è proprio di chi si è impegnato con il Signore e con se stesso a vivere bene la preghiera, l’ascolto, il silenzio e vive con equilibrio le sue relazioni anche quando non ricava gioia dalla sua diligenza. Per questo è necessario essere amante delle essenzialità. Il secondo atteggiamento è quello dell’amico fedele. E’ l’atteggiamento di colui che cerca di entrare nelle intenzioni del Signore e dice: Signore che cosa oggi è bene per me? Questo atteggiamento ci mette sempre in una amorosa ricerca di disponibilità obbedienziale al Signore e di accoglienza amorosa dei fratelli. Il terzo atteggiamento e quello dell’innamorato estatico. Non possiamo ottenere con le sole nostre forze la crescita e la maturazione della vita cristiana e della fedeltà alla sua chiamata. Questo atteggiamento ci fa dimenticare le nostre stanchezze, fatiche, preoccupazioni per entrare nella gioia del Signore e soprattutto apre il nostro cuore alla totale accoglienza del suo amore. Signore di amore e di perdono, che vegli sull’uomo, tu vedi i desideri del nostro essere, donaci un cuore semplice, aperto al soffio dello Spiito. Tu sei un Dio vicino e ricco di misericordia, rendici attenti alla tua presenza e docili alla tua parola. Alimenta la nostra speranza con la certezza che la vita non sarà inutile se vissuta nell’amore a te e ai fratelli. Tu solo puoi dare luce alla nostra mente, consolazione al cuore e pace allo spirito.