14 Feb Domenica sesta. Luca 6, 20-26.
Gesù non aveva il potere politico o religioso necessari per trasformare la situazione ingiusta in cui versava il suo popolo. Aveva solo la forza della sua parola. Gli evangelisti raccolgono le grida sovversive che Gesù lanciò per i villaggi della Galilea in diverse situazioni. Le sue beatitudini restarono impresse per sempre nei suoi discepoli.
Tutti portiamo nel più profondo del nostro essere una fame insaziabile di felicità. Ogni volta che incontriamo una persona possiamo essere sicuri di trovarci di fronte a qualcuno che cerca esattamente la stessa cosa che desideriamo noi: essere felici.
Tuttavia, quando ci si domanda cosa sia la felicità e come trovarla, non sappiamo dare una risposta troppo chiara. La felicità è sempre qualcosa che ci manca. Qualcosa che non possediamo ancora pienamente. Per questo il semplice ascolto delle beatitudini provoca sempre in noi una speciale risonanza. Da una parte, il loro tono fortemente paradossale ci sconcerta. Dall’altra, ci attrae la promessa che racchiudono, poiché offrono una risposta a questa sete che si trova nel più profondo del nostro essere.
Le beatitudini ci ricordano che la nostra prima e fondamentale vocazione è la felicità. Non in un modo qualunque, ma attraverso le vie indicate da Gesù e che sono completamente diverse da quelle proposte dalla società. È questa la sua sfida più grande. Secondo Gesù è meglio dare che ricevere, è meglio servire che dominare, condividere che accumulare, perdonare che vendicarsi. In fondo quando cerchiamo di ascoltare sinceramente il meglio che c’è nel più profondo di noi stessi, intuiamo che Gesù ha ragione. E dal profondo avvertiamo la necessità di gridare anche oggi le beatitudini gridate da Gesù. Beati quelli che sanno essere poveri e condividere il poco che hanno con i loro fratelli. Guai a coloro che si preoccupano solo delle proprie ricchezze e dei loro interessi.
Beati quelli che conoscono la fame e il bisogno, poiché non vogliono sfruttare, opprimere e calpestare gli altri. Guai a coloro che sono capaci di vivere tranquilli e appagati, senza preoccuparsi dei bisognosi. Beati quelli che piangono le ingiustizie, le morti, le torture, gli abusi e la sofferenza dei deboli. Guai a coloro che ridono del dolore degli altri mentre si godono il proprio benessere. Il Signore Gesù afferma categoricamente che la felicità non consiste nel puro benessere. La civiltà dell’abbondanza ci offre mezzi per la vita, ma non ragioni per vivere. L’insoddisfazione attuale di molti non è dovuta soltanto né principalmente alla crisi economica, ma prima di tutto alla crisi di autentici motivi per vivere, lottare, godere, soffrire e sperare.
Abbiamo imparato molte cose, ma non sappiamo essere felici. Abbiamo bisogno di così tante cose da essere dei poveri bisognosi. Per ottenere il nostro benessere siamo capaci di mentire, truffare, tradire noi stessi e distruggerci a vicenda. Non è certamente questa la via per essere felici.
Papa Francesco nella sua Enciclica “Laudato sii” traccia con profonda intelligenza evangelica una via sapienziale per vivere la beatitudine della povertà, della sobrietà, della gioia. “La spiritualità cristiana propone un modo alternativo di intendere la qualità della vita e incoraggia uno stile di vita profetico e contemplativo, capace di gioire profondamente, senza essere ossessionati dal consumo. È importante accogliere un antico insegnamento, presente in diverse tradizioni religiose, e anche nella Bibbia. Si tratta della convinzione che “meno è di più”. Infatti il costante cumulo di possibilità di consumare distrae il cuore e impedisce di apprezzare ogni cosa e ogni momento. Al contrario, rendersi presenti serenamente davanti ad ogni realtà, per quanto piccola possa essere, ci apre molte più possibilità di comprensione e di realizzazione personale. La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per ciò che non possediamo. Lo spirito di fondo del cristiano, ossia l’anima delle sue scelte, non è rappresentato in modo determinante e qualificante dai dieci comandamenti, i quali rientrano nel campo della così detta legge naturale. Ciò che caratterizza il seguace di Cristo è la nuova legge: le beatitudini. Esse sono il parametro della vita cristiana, il metro della sua autenticità. Quando le proclama c’è in lui un tale fremito, una tale pienezza, che tutto il suo essere riconosce la loro sorgente segreta: l’ardente braciere di amore che egli chiama “Abbà”.