10 Feb Domenica Sesta. Matteo 5,17-37
La Parola di Dio è un autentico labirinto in un giardino, dove si può spaziare a piacimento, ma per trovare l’uscita è necessario possedere il filo rosso che guida la ricerca, senza smarrirsi. La lettura superficiale della Bibbia uccide la Parola e inaridisce il cuore. L’incontro con la Parola è come l’incontro con la persona di cui siamo innamorati. Il riconoscimento, l’amicizia nasce dalla consistenza interiore, cioè dal pensiero, dalla cultura e dalla religiosità come conoscenza del cuore; nasce dall’amore di sé regalato all’amore dell’altro. L’amore infatti è generante e generativo; ogni istante, ogni attimo, ogni atto d’amore è fonte ineluttabile di vita, che non si identifica con la procreazione, ma con la creazione: chi ama nel dono è simile a Dio perché lo imita. Il lettore superficiale potrebbe rimanere confuso di fronte all’ elogio di Gesù dell’osservanza della Legge, in quanto evento dell’Antico Testamento, anche perché san Paolo ci ha impressionato con la sua diatriba corposa e forte che mette in discussione il valore stesso della Legge mosaica fino al punto di dire che essa è «motivo di morte». Paolo descrive la funzione pedagogica della Legge che avrebbe dovuto condurre a Cristo, ma essa non poté svolgere il proprio compito perché si smarrì in un mare di prescrizioni e non si è impregnata di amore. La Legge, ogni legge, deve educare e guidare, non impedire e rallentare. Questo pericolo però è scongiurato dalla lettura che Matteo fa del «compimento» dell’Antico Testamento sia come pienezza in sviluppo, sia come profezia in sé. La differenza tra il fariseo senza Cristo e il credente in lui sta nel fatto che il primo vive la giustizia come «adempimento» materiale della Legge che equivale per noi «ad andare a Messa per il precetto», cioè per non compiere peccato; mentre per Cristo compiere la giustizia significa entrare in comunione di vita con Dio in un rapporto affettivo ed effettivo. Il fariseo è tentato di «divinizzare» la Legge che diventa così un idolo assoluto; il Cristo invece non si occupa né si preoccupa di «compiere la Legge» o i riti o le prescrizioni perché la sua ragione di vita sta tutta nella persona del Padre che diventa la sorgente e il fondamento del suo essere, del suo amare e del suo agire. Il cristiano vive la storia con passione e tranquillità perché sa che in Gesù i tempi sono compiuti e ha inizio una nuova dimensione che ha come modello «l’obbedienza del Figlio» al Padre. Tra il cristiano e la Legge, qualsiasi legge, da questo momento c’è la mediazione della giustizia di Cristo che si realizza nell’obbedienza sua al Padre, cioè in una relazione d’amore e non in una sudditanza di potere padronale. Non si osserva la Legge per diventare giusti, ma si vive la Legge perché si è giusti in quanto si è redenti e amati. Da qui l’etica della bellezza, della globalità armonica, della complessità arricchente, del vedere anche altrove e trovare risposte al come e ai perché. Solo l’amore può farci giungere a donazioni piene e a disponibilità senza riserve, a vivere esperienze di vita con sguardo attento al bene relativo dell’uomo che tende tuttavia a beni perenni, definitivi e carichi di ogni umanità.
Amore immenso, di te avvolgimi
come luce il giorno. Danza con me:
voglio donarmi e tutto darti,
creiamo feste d’amori
al nostro amore,
riempirò la mia coppa
della tua grazia bruna
mi ubriacherò di cielo
per cantare insieme a te:
io sono la sposa dell’amore.
Danza con me: amore così bello,
così felice, così gaio.
Tremante di paura
come un bimbo al buio
e così sicuro di sé
come un uomo tranquillo
nel cuore della notte.