11 Lug Domenica quindicesima. Luca 10,25-37.
La parabola del «buon samaritano» uscì a Gesù dal cuore, poiché quando andava per la Galilea era molto attento ai mendicanti e ai malati che vedeva ai margini delle strade. Voleva insegnare a tutti a camminare nella vita con «compassione». Alla luce della fede dobbiamo dire che la compassione è l’unica reazione veramente umana di fronte alla sofferenza altrui che, una volta interiorizzata, diventa un principio di azione e di aiuto solidale a chi soffre. Per questo il teologo Jon Sobrino cominciò a parlare parecchi anni fa del «principio compassione», presentandolo non come un’ulteriore virtù, ma come l’atteggiamento radicale di amore che deve ispirare l’agire dell’essere umano davanti alla sofferenza altrui. La compassione-misericordia è il principio fondamentale dell’azione di Dio, e ciò che configura tutta la vita, la missione e il destino di Gesù. Davanti alla sofferenza, non bisogna anteporre nulla alla misericordia. Secondo Gesù, l’importante nella vita non è teorizzare molto o discutere a lungo sul senso dell’esistenza, ma camminare come il samaritano: con gli occhi aperti per aiutare qualunque persona possa aver bisogno del nostro aiuto. Per questo, prima di discutere su che cosa crede ognuno di noi o quale ideologia difende, dobbiamo domandarci a che cosa ci dedichiamo, chi amiamo e cosa facciamo di concreto per quegli uomini e dorme che necessitano dell’aiuto del loro prossimo.
È questa la vera conversione di cui abbiamo bisogno. Chi vive attento al fratello bisognoso che incontra sulla sua via, scopre un gusto nuovo per la vita. Il nostro cuore deve diventare una fragile casa che accoglie, sospesa tra Gerico e Gerusalemme. Non c’è nulla che leghi i due in partenza: il malcapitato è soltanto un oggetto che i passanti vedono; non ha neppure il volto implorante o la voce gemente. E’ presenza anonima, identità ignorata. Eppure c’è qualcosa che getta il ponte tra lui e il samaritano: è la decisione del samaritano di farglisi prossimo; ed è a far maturare questa decisione la compassione che sboccia in cuore al samaritano. Prima del fare c’è questo essere toccato, colpito, coinvolto nella sofferenza, nella povertà dell’altro. La sollecitazione che promana dalla parabola sospinge, quindi, a guardare in profondità il mistero del «mio prossimo»: non solo quello che è fuori di me, ma anche quello che vive nel mio cuore. Il «prossimo interiore» è costituito, tra l’altro, dalle passioni dell’anima, dalle ferite della vita, dai conflitti, dalle tensioni profonde. Quelle ferite che, il più delle volte, tendiamo a non ascoltare, ad allontanare, a dimenticare, sono proprio quelle sulle quali voleva soffermarsi un vecchio monaco: Isacco di Ninive. «La via che conduce a Dio passa per le debolezze, per l’impotenza, le passioni, gli istinti, i bisogni e i desideri… passa per le ferite. Posso conoscere Dio stesso e scoprire la volontà che lui ha su me attraverso di esse. Cerca di entrare nel tesoro che sta nel tuo intimo e vedrai il tesoro celeste! Infatti questo e quello si identificano. Entrando in te stesso li vedrai tutti e due! La scala che porta al regno del cielo sta nascosta in te, nella tua anima. Immergiti in te stesso e fuggi il male e troverai scale per le quali riuscirai a salire».