Guariento Mario | DOMENICA 7.02.2021
Tutte le opere, i commenti, le riflessioni di Don Mario Guariento
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DOMENICA 7.02.2021

04 Feb DOMENICA 7.02.2021

Marco 1, 29 – 39

Alla luce del testo di Marco 1,29-39 possiamo capire il senso dell’espressione «il tempo è compiuto» con cui Gesù inizia l’annuncio del Vangelo. È cominciato, infatti, il tempo della tenerezza di Dio che viene personalmente a cercare gli uomini e le donne per farli risorgere dalla loro condizione di sofferenza. Il dolore non viene da Dio, ma Dio libera dalla sofferenza che è una conseguenza e una condizione del nostro essere viventi temporali e temporanei. Un particolare non trascurabile del vangelo odierno è che la prima a essere liberata dalla «febbre» è una donna, che al tempo di Gesù apparteneva a una categoria emarginata. Gesù prende per mano una donna malata, sollevandola, cioè facendo vivere a lei, in anticipo, quello che anche lui avrebbe vissuto dopo la sua morte: la rende risorta. In altre parole, la donna risorta dalla febbre, diventa un simbolo, un «sacramento» di Gesù che sarà schiacciato dalla febbre della morte, ma da cui «si risolleverà». Qui, Gesù non si domanda se toccare la donna lo rende impuro, ma assume su di sé tutta la condizione umana femminile. La conseguenza di questa risurrezione anticipata è il servizio: «la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli». Ognuno di noi esiste per risorgere e servire, ma a volte una «febbre» c’impedisce di essere chi vogliamo e possiamo essere. Febbre narcisista, dell’autosufficienza; febbre della religiosità asfittica ed esteriore, febbre dell’eccesso di attivismo a scapito della profondità, febbre della solitudine, dello sconforto, della paura, dell’abbandono. Ognuno di noi ha da fare con una qualità di febbre particolare che occorre individuare attraverso il confronto fraterno per non correre il rischio di vivere schiacciati dalla sofferenza. La guarigione, qualsiasi guarigione, nel vangelo, non è mai fine a se stessa, ma ha sempre un traguardo: quello di spendere ciò che si è ottenuto per gli altri. Non siamo risuscitati perché simpatici o per privilegio, ma per dedicarci più agevolmente agli altri, a chi ne ha bisogno. È evidente che la guarigione della donna va oltre il fatto per assumere un valore simbolico: è una parabola per noi. La donna fa fatica a vivere la sua vita perché ritenuta essere inferiore dalla cultura dominante, emarginata dal potere maschile, relegata in regime di schiavitù che la rende disponibile ai bisogni dell’uomo. Ai tempi di Gesù, in tutto il mondo conosciuto, la donna esiste solo come funzione : materna, garante dei figli e della casa. Non è persona e, infatti, non può testimoniare in tribunale; addirittura il suo valore di risarcimento legale, in caso di danno, è dimezzato rispetto all’uomo, mentre i tempi della purificazione, in caso di parto, sono raddoppiati. La vera febbre della donna è l’essere donna.
Dio non tollera più che la donna sia prigioniera della febbre della femminilità e il primo intervento che opera nella storia è la liberazione di una donna dalla prigione della febbre maschile. È inaudito: di sabato, una donna, malata e quindi impura … e lui la tocca, intreccia le sue mani con quelle della donna e la «risuscitò». Nulla può più essere come prima: chi era schiava per legge e per dovere, «si mise a servirli» per amore.

Gesù è assediato da malati e oppressi: essi sentono che è arrivata «la pienezza del tempo», il loro tempo, e vogliono risorgere. Emarginati, esclusi dalla vita civile e religiosa, ora hanno coscienza di essere la parte migliore di quel mondo che Gesù è venuto a cercare e a salvare. Gesù spalanca le porte della speranza e del futuro ad una umanità depressa e derelitta, liberandola anche da quella religione che l’ha rinchiusa nella paura di Dio, impedendo l’incontro con lui, piuttosto che favorirlo. Gesù dichiara che quella non è né religione, né tanto meno fede: il Dio che è parte di quel sistema oppressivo «è morto» per sempre; ora risorgono le donne, camminano gli storpi, vedono i ciechi e i poveri sono destinatari della gioia del Vangelo. Per rimanere nella sua interiore condizione di libertà, egli si alza «al mattino, quando ancora è buio, e là prega» (Mc 1,35).

La preghiera non è un’attività, ma uno «stato» interiore di comunione, di intimità tra Gesù e suo Padre. E’ una dinamica di relazione tra due persone che si conoscono, si stimano, si accolgono, si amano. Spesso confondiamo la preghiera con la recita di formule più o meno complesse che esprimono solamente il nostro bisogno psicologico di «sentirci» protetti e al sicuro, col rischio di confondere la preghiera con il parlare con se stessi. Non si può pregare nella confusione, nel frastuono e nella dispersione. Occorre «ascoltare il silenzio» e per farlo è necessario «fare silenzio» dentro e attorno. Gesù va nel «deserto», dove il tempo ritma l’eterno e l’eternità scandisce l’essenziale dell’esistenza, purificandola dalle scorie del superfluo o dei superflui. In queste condizioni, la preghiera diventa la misura dell’essere, del desiderio e dell’agire, del progettare e del realizzare la nostra sintonia con la volontà del Padre. A questo livello non occorrono parole, perché basta «esserci». Pregare significa perdere tempo per la persona amata. Gesù, infatti, non sottrae tempo agli altri, ma solo a sé, al suo riposo per dedicarlo al Padre, la Persona che ama più di ogni altro. Pregare non è dire formule, ma «stare con…». Due innamorati stanno insieme per uniformare pensieri, desideri, aspirazioni, progetti, sentimenti, volontà, decisioni; in questo senso la preghiera è anche purificazione da eventuali tracce di egoismo narcisista e di tornaconto. La preghiera è una delle prove più evidenti del fatto che Gesù era un “essere umano”. E come ogni essere umano sentiva la necessità di aiuto del Padre al quale si rivolgeva con tanta frequenza.

Il segreto, la spiegazione e la chiave dell’umanità di Gesù stanno nella sua spiritualità. Cioè, Gesù è stato così profondamente umano a causa della relazione così frequente e profonda che ha avuto con la fonte di ogni umanità. La condizione umana, così come di fatto esiste – mescolata e fusa con l’inumano e con la disumanizzazione – non spiega il fatto che un uomo, che è stato “come uno fra tanti”, sia stato così pienamente umano al punto che in lui non c’era alcuna inumanità. Per questo Gesù ha avuto bisogno di ricorrere tanto al Padre. E ne abbiamo bisogno tutti, se vogliamo veramente essere profondamente umani e metterci in sintonia con tutto quello che è veramente umano. Ci sono modi di pregare che istupidiscono e ci sono modi di pregare che umanizzano.