29 Gen DOMENICA 31.01.2021
Marco 1, 21 – 28
L’episodio è sorprendente e impressionante. Accade di sabato, il giorno in cui gli Ebrei osservanti si riuniscono per ascoltare il commento dei loro capi. In questo contesto, Gesù comincia a insegnare per la prima volta e suscita stupore e ammirazione. La gente percepisce in lui qualcosa che non trova nei suoi maestri religiosi. L’autorità di Gesù è diversa; Egli è pieno dello Spirito vivificante di Dio e non di leggi.
All’improvviso, un posseduto interrompe, gridando, il suo insegnamento. Non lo può sopportare. È terrorizzato: «Sei venuto a rovinarci?». Quell’uomo si sentiva bene quando ascoltava l’insegnamento degli scribi. Gesù non viene a distruggere nessuno. Ha «autorità» proprio perché dà la vita alle persone. Il suo insegnamento rende umani e libera dalle schiavitù. Le sue parole invitano a confidare in Dio. Il suo messaggio è la migliore notizia che quell’uomo, tormentato interiormente, possa ascoltare. Quando Gesù lo guarisce, la gente esclama: «Un insegnamento nuovo, dato con autorità».
Quello che cerca Gesù è la salute integrale delle persone: che tutti coloro che si sentono malati, abbattuti, falliti o umiliati possano sperimentare la salute come segno di un Dio amico, il quale vuole per l’essere umano vita e salvezza. Il mondo e tanti cattolici pensano oggi alla Rivelazione come un impedimento al progresso, una rovina perché ci conserva nell’oscurantismo e abbaglia senza promuovere. Grida, ovunque si grida, quasi per coprire la voce interiore e la verità che giace in fondo all’anima.
Tutta l’ azione di Gesù cerca di indirizzare le persone verso una vita più sana: la creazione di una convivenza più umana e solidale; la sua offerta di perdono a persone cadute nella divisione interiore; la sua tenerezza verso i maltrattati dalla vita o dalla società; i suoi sforzi per liberare tutti dalla paura o dalla insicurezza, per vivere basandosi sulla fiducia assoluta in Dio.
Non è strano che, affidando la sua missione ai discepoli, Gesù non li immagini come dottori, liturgisti o teologi, ma come guaritori: «Predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni». Il primo compito della Chiesa non consiste nel celebrare il culto, nell’elaborare la teologia, nel predicare la morale, ma nel guarire, liberare dal male, risollevare dall’avvilimento, risanare la vita, aiutare a vivere in modo salutare. Questa lotta per la salute integrale è via di salvezza e promessa di vita eterna.
Lo denunciava alcuni anni fa Bernard Hàring: la Chiesa deve recuperare la sua missione di guarigione se vuole mostrare la via della salvezza. La parola di Gesù è una chiamata, un messaggio vivo che provoca un impatto e si apre la via nel più profondo dei cuori.
Gesù non è «un venditore di ideologie» né un ripetitore di lezioni apprese in precedenza. È un maestro di vita che pone l’essere umano davanti alle questioni più decisive e vitali. Un profeta che insegna a vivere.
La nostra società ha bisogno di uomini e donne che insegnino l’arte di aprire gli occhi, di meravigliarsi davanti alla vita e di interrogarsi con semplicità sul senso ultimo dell’esistenza. Maestri che, con la loro testimonianza personale, seminino inquietudine, trasmettano vita e aiutino a porsi con onestà gli interrogativi più profondi dell’essere umano.
Vedere gli uomini attraverso il Cuore. C’è una sorta di sapienzialità evangelica che sta al fondo di tutto il messaggio cristiano, che comporta, innanzitutto, una fede vera nella grazia. No, il braccio di Dio non si è accorciato.
Chi non sa vedere la bellezza e la santità dei fratelli mostra di non avere il cuore puro e di non saper vedere nemmeno Dio nella prima delle sue opere, la grazia.
Occorrerebbe avere il cuore di Gesù per scoprire la grandezza della fede nelle nostre cananee, nelle emorroisse, nelle samaritane, nei tanti Zaccheo che pur pullulano nella nostra vita, nei peccatori e nelle peccatrici che sembrano solo traviati.
È un fatto che — nei momenti critici, sia positivi che negativi — al momento del dolore, dell’amore, della dedizione alla famiglia, della penuria, della malattia, della morte, gli uomini sanno trarre dal loro fondo sentimenti inaspettati di prima grandezza. Bisognerebbe sottolineare con più intelligenza la sapienzialità di certi anziani, ormai fuori dalla dura lotta per la vita, capaci di delicatezze umilissime e geniali, «fanciulli» nel senso evangelico del termine.
Chi ha Spirito deve esultarne, come Gesù: «Ti ringrazio, Padre, che hai nascoste queste cose ai dotti e ai sapienti, e le hai rivelate ai piccoli». Lc 10,21.
Fino a che non si giunge a convertirsi così al povero, al fratello è segno che la nostra spiritualità è ancora troppo scarsa.
Capire, e poi riconoscere.
Fa parte della testimonianza il saper proclamare in concreto la grandezza di Dio nei suoi figli.
La gente deve accorgersi d’esser guardata da noi in un certo modo, perché possa poi capire il significato dell’annuncio e della testimonianza che le rivolgiamo. La proclamazione evangelica, significa annunciare «la buona volontà di Dio» e, insieme, la forza di questo suo amore.
E’ urgente oggi operare una sutura particolarmente efficace tra spiritualità e apostolato.
Il fatto che la gente non mostra di aver capito che questo è il «principio e il fondamento» del messaggio cristiano, sta a indicare che il nostro messaggio non è stato corretto; ma indica, al tempo stesso, che noi non siano abbastanza convertiti da poterglielo significare per davvero.
C’è un’ovvia promessa da assumere, in conclusione: correggere radicalmente lo schema mentale secondo il quale nel mondo c’è solo una massa detestabile che noi dobbiamo portar dentro la chiesa per rivestirli di un minimo di dignità e così renderli presentabili a Dio, il quale altrimenti non accetta di vederli.
Ma c’è, più importante, un impegno spirituale: abituarci a considerare la gente qualsiasi come la pupilla degli occhi di Dio, perché è il loro nome che Dio si è scritto sul palmo delle mani, è di loro che si cinge come di una corona, per loro grida di gioia, come un padre, come uno sposo.