28 Giu DOMENICA 27.06.2021
Marco 5, 21-43
In questa sezione del suo Vangelo l’autore riporta una serie di episodi particolarmente intensi sia dal punto di vista degli eventi sia dal punto di vista emotivo: la traversata tempestosa del “mare” e come Gesù calmi la bufera con la sua parola; l’incontro con un indemoniato particolarmente violento e come Gesù, sempre con la medesima parola, sciolga le catene di quest’uomo; l’incontro di Gesù con un padre disperato per la malattia della propria figlia; infine l’incontro con una donna malata da molto tempo; due persone profondamente diverse, ma al contempo accomunate dall’affrontare un’esperienza profonda di dolore e sofferenza. Da un lato abbiamo Iairo, un ufficiale preposto alla supervisione degli affari della locale comunità giudaica. Ce lo immaginiamo un uomo piuttosto noto, rispettato, preparato, persino benestante. Scopriamo essere non solo un uomo pubblico, ma anche un uomo di famiglia: padre di almeno una figlia, a lui più cara della sua stessa vita. Proprio lei, ora, a 12 anni, sta morendo lottando con una malattia improvvisa. Da un altro lato abbiamo una donna di cui nulla ci viene detto circa il nome. Soffre da dodici lunghi anni di un imprecisato flusso di sangue: una vita vissuta non solo nella debilitazione fisica e nella debolezza, ma anche una vita emarginata. Un’esistenza passata, almeno negli ultimi dodici anni, a evitare gli altri e ad essere evitata; un’esistenza trascorsa sull’altalena della speranza e della delusione dopo ogni incontro con un nuovo dottore. I suoi beni dilapidati per trovare una cura del proprio fisico e della sua anima di conseguenza sanguinante. L’umiliazione di provare gli ultimi rimedi, più simili a opere di uno stregone che a cure mediche. In definitiva, due storie diverse, certamente; eppure congiunte dall’esperienza del dolore, improvviso o continuativo che fosse, e dal grido di una fede forse già presente, forse nascente o forse addirittura assente e il cui urlo rappresenta l’atto costitutivo, l’ultimo tentativo prima del baratro. Un grido d’aiuto che si manifesta nell’inginocchiarsi disperato di un padre o nello scivolare silenziosamente tra la folla per raggiungere Gesù.
Gesù accoglie. Gesù si fa toccare e tocca ciò che il mondo non vuole toccare: un indemoniato, una bambina morta, una donna considerata impura, dei malati di ogni tipo, degli stranieri. Gesù segue Iairo, cammina con lui. Intanto lo spintonano le folle, urlano nelle sue orecchie, lo strattonano. Gesù si commuove: lo immaginiamo così perché il Vangelo ci racconta della sue viscere che si commuovono di fronte alla tomba di un amico. A Gesù una donna tira il lembo del suo mantello, con insistenza. Chi mi ha toccato?, cioè, “Io voglio darti un volto, non voglio tu rimanga nella folla; esci! Voglio una relazione personale con te”. Non solo. Gesù indirizza la vita verso nuovi percorsi. “Va’ in pace! Sii guarita! Sei salva!”. Gesù parla e la fanciulla passa dalla morte alla vita, anticipo della risurrezione di Gesù stesso, lui il primogenito dai morti, lui di cui Paolo dirà qualche anno più tardi: così in Cristo tutti saranno vivificati. Contempliamo Gesù in mezzo alla folla, compresso, che sana, guarisce, parla, ascolta, s’incammina, annuncia e compie il regno di Dio e vedremo il Dio vicino, presente. Dio ci è vicino nel fango e nel lavoro, tanto che la pelle gli fuma (M. Lutero). Ecco la parola che Marco ci consegna. Una parola che consola, stimola, guarisce, apre nuovi spazi e ci porta dal nostro mondo ristretto al vasto mondo di Dio. Portiamo con noi una parola che ci vuole accompagnare: questa domenica, questa settimana, quest’anno, lungo la vita. Possiamo essere un Iairo o una donna emorroissa; possiamo essere un discepolo sconcertato e sconvolto, sballottato da eventi non compresi; possiamo essere parte della folla che si accalca, curiosi e in attesa di vedere qualcosa. Dio è lì. Si fa disponibile, tangibile. Non lontano, ma pronto a manifestare una gloria amorevole nella nostra quotidianità. Il Signore è vicino! Le nostre vite sono in cammino continuo. In Lui trovano nuova direzione. Vi è una guarigione ancor più profonda offerta da Dio in Gesù Cristo, che va al centro delle nostre esistenze, lì dove risiede il cuore e il significato di essere chi siamo. Questa guarigione parla di tempeste placate dalla sua promessa; parla dello scioglimento di vincoli e catene che non permettono alle nostre vite di essere le creature che Dio ha inteso noi fossimo; parla di una promessa e una qualità di vita che nulla può sconfiggere, anche quando affrontiamo la malattia, la sofferenza, persino la morte; parla di pace anche nel mezzo delle spinte della folla, anche nel mezzo delle promesse vuote che tutti i giorni ascoltiamo, quelle speranze vuote e autoreferenziali offerte dai medici-stregoni del nostro tempo che assicurano la soluzione di problemi personali, collettivi, locali o nazionali che siano. La guarigione e la promessa di Gesù parlano di una vita piena, ricostruita, che Dio ci offre toccandoci individualmente; lì: dove siamo; lì: come siamo. C’è una folla che ride a quella parola. A volte anche noi ci uniamo a quella risata, a volte dimentichiamo. Oggi questa parola ci ricorda che c’è una mano che ci prende delicatamente eppure è potente della potenza di Dio; c’è una bocca che non si stanca di pronunciare i nostri nomi e chiamarci alla vita con tutta la serietà e l’amore di cui il cuore di Dio è capace; c’è un’esistenza nuova, offerta liberamente dal Dio che è relazione e si relaziona e offre tutto ciò che ha per noi: Sé stesso. Fino a impolverarsi con noi, per noi.
Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione,
piangono per aiuto, chiedono felicità e pane,
salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte.
Così fanno tutti, tutti, cristiani e pagani.
Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione,
lo trovano povero, oltraggiato, senza tetto né pane,
lo vedono consunto da peccati, debolezza e morte.
I cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza.
Dio va a tutti gli uomini nella loro tribolazione,
sazia il corpo e l’anima del suo pane,
muore in croce per cristiani e pagani
e a questi e a quelli perdona. Dietrich Bonhoeffer