26 Ago DOMENICA 23.08.20
Matteo 16, 13-20
Nel vangelo di oggi Cristo affida la chiave a Pietro come potere della credibilità di Dio: se Pietro sarà credibile, egli scioglierà secondo il cuore di Cristo, se non lo sarà egli legherà anche gli altri in una fede terrena, insufficiente, e ne assumerà la responsabilità. Perché Pietro possa «legare e sciogliere» deve «sapere» chi è Cristo, non può limitarsi ad avere di lui un’opinione comune o l’idea di un’ovvia messianicità. Egli deve andare oltre le apparenze per scoprire in profondità e svelare la vera identità di Cristo, che non è un Messia secondo i pensieri degli uomini, ma è il Messia/Servo sofferente: egli è esteriormente fallito perché rinuncia alla sua onnipotenza per assumere la debolezza umana e farne il luogo privilegiato della rivelazione di Dio. Il Messia che Pietro deve imparare a conoscere è il «Figlio del Dio vivente»: un pacifico che viene a dorso di un’asina per annunciare un’era di perdono e di pace e un tempo di misericordia. Grande è la responsabilità di Pietro che sarà chiamato a confermare i fratelli nella «pietra/roccia» di questa fede.
«Gesù, giunto nella regione di Cesarea di Filippo». Gesù si allontana dalla sorveglianza ormai palese a cui lo sottoponevano i capi del sinedrio. A volte per verificare se i propri pensieri vengono da Dio o se invece seguono le mode degli uomini è necessario staccarsi dalla stessa religione e rifugiarsi in territorio pagano che offre più garanzie di libertà e di indipendenza di giudizio: il contesto laico è più propizio alla fede di un contesto religioso. I discepoli, da Giudei osservanti, hanno una nozione del Messia di tipo trionfalistico e nazionalistico: per loro il Messia è colui che restaura il regno di Israele. Non è un caso che Pietro nel definire la personalità di Gesù dirà: «Tu sei il Messia», Pietro non fa un atto di fede, ma manifesta un desiderio nazionalista. Gesù porta Pietro e gli altri discepoli fuori dai confini, in terra pagana, quasi in un pellegrinaggio terapeutico per sottrarli all’influenza negativa dell’ambiente che li circonda per far capire loro che il Messia nel progetto di Dio appartiene alla natura del «Servo Sofferente» di Isaia.
Bisogna andare lontano se si vuole prendere di nuovo contatto con il progetto originario di Dio: è necessario allontanarsi dalla religione ufficiale e dal nazionalismo politico per tentare di «vedere» il disegno di Dio. Il modo di agire di Gesù è un dato di fatto che c’interpella come singoli e come chiesa. Se vogliamo capire il mondo un po’ meglio è necessario uscire fuori dal chiuso degli schemi del proprio ambiente e della propria cultura, altrimenti si rischia di considerare la propria cultura come unica e superiore a quella degli altri.
«Chi dicono gli uomini che sia il Figlio dell’uomo»? Si comprende quindi che la domanda di Gesù non è semplice curiosità, ma si situa a livello delle domande del profondo: Gesù vuole sapere quale consapevolezza gli uomini hanno dell’uomo «progettato da Dio» e non del «dio» proiettato dagli uomini. È una richiesta di senso: chi è l’uomo per gli uomini? In che relazione sta quest’uomo «ideale» con Dio? Quale posto occupa Dio nella vita degli uomini? Gli uomini cercano Dio oppure vogliono risposte materiali ai loro bisogni materiali, servendosi di un Dio «a propria immagine e somiglianza»? Gli apostoli che riportano le opinioni sembrano anonimi e senza una propria verità; stanno alla finestra a guardare, non prendono posizione e aspettano che siano gli altri a compromettersi. Quando il passato diventa «idolo» immutabile, assoluto, una diga ideologica impedisce di guardare e andare avanti verso il futuro. Quando s’invoca il passato in nome di Dio e di una presunta tradizione che altro non è se non la fragilità degli uomini e il segno del loro potere che arriva negare anche la Parola di Dio, allora il passato diventa un peccato contro lo Spirito perché si nega la presenza di Dio che guida la Storia.
«Disse loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”» Gesù vuole stanare i suoi discepoli. Spesso noi credenti pensiamo di avere incontrato il Signore, solo perché apparteniamo alla religione cristiana o frequentiamo la Chiesa: cristiani di nascita e di tradizione. Non ci accorgiamo di essere ancora molto lontani dalla «conoscenza/esperienza» di Dio che non si risolve in sporadiche occasioni ma esige una frequentazione quotidiana e una conoscenza intima. Spesso confondiamo il folklore religioso con la fede, illudendo noi stessi e svuotando la fede del suo contenuto. Bisogna verificare «dove» ci troviamo nel lungo cammino della fede.
«Tu sei il Figlio di Dio, il Vivente». Nelle parole di Pietro, Gesù è colui che è definito come «il vivente» per eccellenza: la caratteristica vitale di Dio è la vita. Il Messia dunque non è più o solo della discendenza di Davide, ma esercita il mestiere di Dio che è: dare la vita.
«Beato sei tu, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.
L’espressione «legare e sciogliere» è un’ espressione semitica che, comprendendo gli estremi, contiene tutto. Le chiavi di casa in oriente, al tempo di Gesù, non erano come le nostre che si possono mettere in tasca, ma erano chiavi grandi, enormi e pesanti che venivano legate alla cintura. Il custode di queste chiavi era l’uomo di fiducia che aveva ricevuto dal padrone il mandato di rappresentarlo per assicurare l’ordine, l’organizzazione e la sicurezza. Pietro pertanto non riceve un potere personale che può gestire a sua discrezione, decidendo chi deve entrare e chi deve uscire dalla Chiesa, egli riceve una Chiesa con «tutti dentro» e lui deve solo impegnarsi e preoccuparsi della loro sicurezza, per cui deve vegliare mentre gli altri dormono, procurare il cibo a tutti. Il suo compito non è di «padrone», ma di «servo» plenipotenziario, garante dell’incolumità di tutti. Egli deve aprire a coloro che stanno fuori perché possano trovare riparo e sicurezza «dentro»: non può escludere alcuno. Il mandato di Pietro non può essere slegato dal contesto che è quello della professione di fede «nel Figlio del Dio vivente».
Quando Pietro accoglie e tutela coloro che credono nel Figlio del Dio vivente, egli è conforme al disegno di Dio. Pietro diventa pertanto il prototipo di ogni credente: chiunque è chiamato a predicare Cristo crocifisso e risorto, seguire umilmente i suoi passi, aprirci con lui al Padre, riprodurre i suoi gesti di amore e tenerezza, guardare la vita con i suoi occhi, condividerne il destino doloroso, aspettarne la risurrezione. Solo quando vivremo «sedotti» da lui e quando la forza rigeneratrice della sua persona avrà operato in noi, potremo trasmettere anche oggi il suo spirito e la sua visione di vita. Altrimenti proclameremo con le labbra dottrine sublimi, ma continueremo a vivere con una fede mediocre e poco convincente.
Ci siamo abituati a dire che crediamo in Dio, senza che in noi accada nulla di «decisivo».
Persino l’«avere fede» pare a volte dispensarci dal cercare e desiderare il suo volto rivelato in Gesù di Nazaret. Riconoscere la nostra mediocrità spirituale non trasforma le nostre vite, ma può aiutarci a intravedere fino a che punto abbiamo bisogno di «essere battezzati in acqua e Spirito Santo». Forse è questo il primo compito oggi: Riscoprire e accogliere in sé la forza viva dello Spirito di Gesù. Però senza un vero abbandono, rifuggiremo sempre da ogni decisione seria”.
E Georg Ivan, un monaco maronita libanese scriveva questi bellissimi versi.
«Ti ho visto sulla riva di fronte: come fare per venire fino a Te?
I venti hanno strappato le mie vele, le onde hanno consumato i remi del mio naviglio. Come gettare i ponti? Su quali pilastri costruirli?
Ti ho udito, ecco la Tua voce, è nel fruscio dell’acqua.
E io, prigioniero della riva dove sono, aspiro a venire a Te.
Potrei farlo attraversando l’acqua, ma ad ogni passo rischio di annegare. Tendi le tue braccia verso di me… ».