Guariento Mario | DOMENICA 20.09.20
Tutte le opere, i commenti, le riflessioni di Don Mario Guariento
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DOMENICA 20.09.20

21 Set DOMENICA 20.09.20

Matteo 20,1-16

Viviamo in un tempo in cui non siamo più capaci di scandalizzarci di nulla perché tutto è ovvio e scontato, ridotto a merce di consumo o a soggetti consumatori non di beni, ma di merci scadenti. I modelli di comportamento e gli stili di vita che generano nuove masse di schiavi sono decisi e modulati dalle centrali multinazionali del consumo con la complicità di parlamenti, governi e nostra, perché ci adeguiamo senza discernimento alla logica mondana per comodità o interesse. Questo sistema che è il cuore del capitalismo determina anche le scelte morali e impone livelli di vita attorno ai «valori» dell’individuo televisivo: frivolezza, superficialità, apparenza, immagine, sudditanza dalla moda. In questo contesto, la proposta del vangelo di oggi diventa dirompente e fonte di disagio se non di scandalo perché l’agire di Dio è opposto al sistema imperante.

Il vangelo, con la parabola degli operai della vigna, ci pone di fronte a un comportamento di Gesù che, se giudicato con i parametri della giustizia umana, è scandaloso, ma se è letto alla luce della contemplazione e dell’intimità di Dio è rivoluzionario. A una lettura superficiale, mediata dalle nostre categorie culturali, risalta immediatamente evidente un atteggiamento d’ingiustizia del datore di lavoro descritto dal vangelo: non è infatti giusto che i primi operai che hanno faticato tutto il giorno sotto il sole cocente della Palestina ricevano lo stesso salario di quelli che hanno lavorato appena un’ora e per giunta al tramonto quando il sole non è più caldo, ma gradevole. Il tema centrale della parabola non è l’uguaglianza di trattamento tra coloro che sono stati chiamati al mattino e quelli che sono giunti a lavorare solo un’ora prima della fine della giornata, ma il concetto di «giustizia» e i criteri per valutarla, osservata dalla parte degli uomini o dalla parte di Dio. La giustizia umana è fondata sul principio della giustizia distributiva, secondo cui è dato «a ciascuno il suo sulla misura delle azioni o comportamento, secondo il merito. Da questo punto di vista il trattamento messo in atto dal padrone della vigna è ingiusto. Se fosse accaduto oggi, i sindacati avrebbero organizzato uno sciopero contro l’ingiustizia palese di un proprietario che privilegia alcuni e «sfrutta» gli altri operai. In una società meritocratica «i primi» avrebbero dovuto ottenere di più.

Nel regno di Dio invece, si guarda non a chi arriva primo, ma chi ha più bisogno in base alla giustizia  fondata sulla dignità della persona. La conclusione di Cristo, infatti, è lapidaria: «Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?». In Dio la bontà non è un accessorio di consolazione di tipo «buonista»; in Dio la bontà, la longanimità sono sinonimo di verità e di giustizia perché egli ama di amore unico ciascuno, non in proporzione dei meriti o delle furbizie, ma in forza unicamente dell’amore. In altre parole, Dio non guarda all’apparenza o al risultato, ma al cuore e alle disposizioni interiori. Bontà, verità e giustizia sono il Nome umano di Dio, il solo che non ama per calcolo, ma ama a perdere, ama perché ama ciascuno in quanto unico.

 La chiave interpretativa della parabola, infatti, è Mt 20,15 che la chiude in maniera definitiva: «Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?». Gesù ci invita a guardare dentro di noi, al nostro cuore non sempre trasparente prima di giudicare gli altri e pretendere che essi siano comi li vogliamo noi.Gesù afferma il primato della bontà sul diritto, della gratuità sul dovere, dell’amore sulla legge. Il punto di vista di Gesù non è in opposizione alla giustizia umana, ma è il superamento di essa perché mentre la prima si basa sul concetto di reciprocità, il salario contrattuale a fronte di un lavoro, la seconda si fonda sulla persona stessa di Dio che agisce in forza del suo amore di Padre che si manifesta nella gratuità senza contropartita: il Signore è giusto perché ama, perdona e salva. In questo senso la parabola diventa in bocca a Gesù l’immagine della relazione d’amore che non si fonda su un criterio di uguaglianza e di reciprocità, ma unicamente sulla grazia di Dio che si chiama «elezione per amore», sponsalità.

Non è in forza di quello che l’uomo può dare che Dio ama e interviene, ma ogni suo intervento è misurato dal suo amore senza calcolo, senza aspettativa, senza riscontro: Dio ama ciascuno di noi non perché siamo capaci di chiedere perdono, non perché facciamo opere buone, non perché partecipiamo all’Eucaristia, non perché facciamo elemosine, non perché siamo «buoni», ma unicamente ed esclusivamente perché Dio è Dio e il suo mestiere è amare, perdonare, salvare… sempre.

Con l’avvento di Gesù, nessuno può pretendere di essere e fare il primo della classe, ma tutti  qualunque «ora» gli appartengono, tutti hanno diritto di ricevere l’appello del vangelo e il dovere di rispondere esattamente come quelli della prima ora.

Dio non ama tutti allo stesso modo, ama di più quelli che hanno più bisogno di essere amati e ciò non significa che ama di meno quelli che meno ne hanno bisogno. Dio somiglia a una madre che ama due figli: uno malato e uno sano. Le attenzioni maggiori prestate al figlio malato non sono sottratte al figlio sano perché il suo cuore è tanto grande da comprendere e l’uno e l’altro, ma ciascuno secondo il proprio bisogno e la personale necessità. È difficile questo atteggiamento per noi che dietro ogni gesto dobbiamo vedervi sempre un interesse, una misura, un merito.

La società di oggi ha snaturato il senso della gratuità che si manifesta nell’accoglienza dell’altro, dell’ospite che riveste il senso della presenza divina, mentre oggi l’ospite è stato convertito in turista cioè ospite pagante.
Questa parabola ha anche un altro significato per noi: l’invito a liberare Dio da ogni schema preconcetto che possiamo farci perché Dio, per nostra fortuna, agisce sempre fuori del campo e sta sempre fuori dalle righe, sorprendendoci e scandalizzandoci sempre. Finché crediamo di credere in un Dio funzionale, giudicante, un ingranaggio del nostro sistema culturale, politico, economico e religioso, noi facciamo di Lui un idolo da usare come arma contro chi non pensa come noi. Nessuno può «possedere» Dio perché nessuno può venderlo o comprarlo, perché egli sfugge a tutte le categorie che non rientrano nell’orizzonte e nella dinamica dell’amore e della gratuità.

La Parola che Matteo ci propone insegna la dinamica per entrare in relazione con Dio nell’amore filiale e imparare ad agire nel Nome di Dio come Dio stesso agisce per noi: farci Pane e Vino che si consumano, essere parola che illumina e consola. Allora possiamo fare nostre le parole di Sant’Agostino: «Ama e poi fai quello che vuoi ».