12 Lug DOMENICA 11.07.2021
Marco 6, 7-13
Accostiamoci al testo e con l’aiuto dello Spirito cerchiamo di coglierne la profondità per quanto ne siamo capaci. Gesù decide per una scelta radicale e manda i suoi discepoli, nel cuore della vita, là dove si vivono le vere relazioni umane: l’incontro con le persone e i loro bisogni aprirà loro la mente e il cuore. Bisogna rischiare e Gesù rischia, mandando gli apostoli da soli, equipaggiandoli con istruzioni sul comportamento che devono avere con chi li accoglie e con chi non li accoglie. L’equipaggiamento del missionario non è casuale ma essenziale. Chiunque vede il missionario deve immediatamente capire che egli non persegue interessi materiali e nemmeno di sopravvivenza o di potere e di gloria. Oggi siamo chiamati a ripartire dall’essere evangelici, dal parlare con tutti, dal riprendere le relazioni con tutti. Essere una minoranza creativa che parla di futuro. Chi vede l’uomo di Dio, deve vedere subito la Parola che tracima dalla sua vita, che deve riflettere il volto umano di Dio, volto di tenerezza. Egli è solo uno che cammina, libero da qualsiasi necessità, fossero anche le necessità primarie come mangiare e dormire che devono essere parte dell’accoglienza perché «l’operaio è degno del suo salario».
Un altro elemento fondamentale della missione è l’assoluta mancanza d’imposizione: bisogna fare la proposta, ma senza imposizioni, lasciando la libertà di dire anche di «no». È il metodo di Gesù e deve essere il metodo dell’evangelizzazione in un contesto multi-culturale e pluri-religioso. L’accoglienza avviene in una «casa», cioè in uno spazio di relazioni familiari e affettive; il rifiuto trasforma «la casa di relazioni» in un «luogo» senza vita e di cui non si deve conservare traccia, come si fa quando si ritorna da un territorio pagano, scuotendo la polvere dai sandali per non portare l’impurità pagana dentro la propria casa. I discepoli, ubriacati dal loro nuovo stato e dal loro entusiasmo acritico, possono anche correre il rischio di andare oltre il mandato ricevuto e non attenersi alla consegna del Maestro che circoscriveva il loro mandato alla testimonianza attraverso lo stile di vita povero e il potere sugli spiriti. Non possiamo dimenticare che il primo atto della «pastorale» è l’incontro, la conoscenza sperimentale delle persone: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì». Il vangelo prima di essere una «dottrina» è l’incontro vero tra persone che condividono la vita. I discepoli scacciano gli spiriti impuri e guariscono gli oppressi, quelli che non vedono speranza davanti a loro e vivono la vita come un peso insopportabile: la guarigione dei malati.
Gesù si preoccupa di far uscire i suoi discepoli dalle «sicurezze ingannevoli» in cui erano prigionieri, perché in quanto Ebrei essi ritenevano insignificante il valore morale e religioso del mondo non-ebraico che era rifiutato e disprezzato da Dio. Mandandoli in mezzo al mondo non-giudaico Gesù dichiara finita e innaturale la separazione tra sacro e profano perché tutto è nel segno della benevolenza di Dio: nulla è estraneo a lui e non c’è più un recinto o un confine che determina ciò che è sacro e ciò che non lo è. Più che di fronte ad uno schema di missione ci troviamo davanti ad un metodo di cambiamento di mentalità del personale apostolico. Il missionario non deve programmare la sua accoglienza, ma deve affidarsi alla disponibilità degli uomini di cui deve fidarsi. La sua stessa sopravvivenza come il mangiare, dipende dall’ospitalità che deve essere gratuita perché nessuno può comprare o vendere Dio e tanto meno il cuore delle persone. Lo scuotimento della polvere dai calzari non è giudizio morale, ma un’affermazione di responsabilità. Il gesto è un atto simbolico che ogni ebreo compie dopo un viaggio in terre abitate da non Giudei. La terra forma un tutt’uno con le persone e il loro atteggiamento morale e religioso: separarsi dagli impuri significa distaccarsi anche dalla loro terra. Con questo gesto l’inviato mette coloro che li rifiutano di fronte alla loro responsabilità che resta intera anche nelle conseguenze. Dio non impone nemmeno se stesso, ma si offre alla libera ospitalità perché senza libertà non può esserci né umanità né fede. Quando riusciremo a scuotere la polvere della nostra incredulità, allora potremmo pensare a diventare discepoli, quindi testimoni e infine contemplativi della volontà di Dio, una volontà senza confini e senza condizioni, universale e aperta.