Guariento Mario | DOMENICA 06.12.20
Tutte le opere, i commenti, le riflessioni di Don Mario Guariento
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DOMENICA 06.12.20

04 Dic DOMENICA 06.12.20

SECONDA DOMENICA DI AVVENTO

Marco 1, 1-8

Aprire un vangelo e leggerlo, con l’intento di lasciarlo entrare nella propria vita, non è cosa facile e tuttavia dovrebbe essere il desiderio primo e l’impegno più amato di ogni credente.
Leggere un vangelo, infatti, significa esporsi completamente all’avventura di una relazione con qualcuno. L’incontro di una persona, se è intrapreso con lealtà e perseveranza, trasforma una vita: lo spirito, il cuore, la sensibilità si scoprono profondamente provocati, grazie al pensiero, all’azione e al sentimento dell’altro. Ma l’esperienza dell’altro, in ciò che ha di unico e di irriducibile, ci porta nello stesso tempo alla scoperta dei nostri limiti e della nostra vulnerabilità, invitandoci a ricevere il suo incontro come un arricchimento di noi stessi e, nello stesso tempo, provocando in noi un atteggiamento di paura. Quest’esperienza avviene spesso poco alla volta: i contatti reiterati aprono le persone che s’incontrano al mistero della loro intimità e smascherano le loro resistenze alla comunione.
Così avviene nell’incontro col vangelo, perché è una persona prima di essere un libro.

«Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio». È questo l’inizio solenne e gioioso del vangelo di Marco. Ma subito appare sull’orlo del deserto un profeta, Giovanni. Viene a «preparare la via del Signore». È questo il suo grande servizio a Gesù. La sua chiamata non si rivolge solo alla coscienza individuale di ognuno. Quello che Giovanni cerca, va al di là della conversione morale di ogni persona. Si tratta di «preparare la via del Signore», una via concreta e ben definita, la via che seguirà Gesù, deludendo le aspettative convenzionali di molti. La reazione delle persone è toccante. Dalla Giudea e da Gerusalemme vanno nel deserto per ascoltare la voce che li chiama.
Il deserto insegna l’essenzialità, è apprendistato di sottrazione e di spoliazione. Il deserto è magistero di fede: esso aguzza lo sguardo interiore e fa dell’uomo un vigilante, un uomo dall’occhio penetrante. L’uomo del deserto può così riconoscere la presenza di Dio e denunciare l’idolatria. Giovanni Battista, uomo del deserto per eccellenza, mostra che in lui tutto è essenziale: egli è voce che grida chiedendo conversione, è indice che mostra il Messia, è occhio che scruta e discerne il peccato, è corpo scolpito dal deserto, è esistenza che si fa cammino per il Signore. Il suo cibo è parco, il suo abito lo definisce profeta, egli stesso diminuisce di fronte a colui che viene dopo di lui: ha imparato fino in fondo l’economia di diminuzione propria del deserto. Ma ha vissuto anche il deserto come luogo di incontro, di amicizia, di amore: egli è l’amico dello sposo che sta accanto allo sposo e gioisce quando ne sente la voce. Forse ha ragione Henri le Saux quando scrive che «Dio non è nel deserto. È il deserto che è il mistero stesso di Dio».

Bisogna accogliere Dio nel deserto, «nella notte». E bisogna accettare che la ragione incontri il mistero,  avverta il vuoto del “non senso”. Allora si potrà fare la proposta di un Dio che, senza sfoggiare onnipotenza, si fa compagno di strada condividendo ogni sofferenza. Questo Dio è chiamato ad annunciare la Chiesa, ma percorrendo anch’essa le strade degli uomini. «Solo una Chiesa samaritana, vicina ai crocifissi, può pronunciare il nome di questo Dio». Un Dio amico dell’uomo Le nostre comunità cristiane vivono di Dio «un’esperienza impoverita». «Tutti soffriamo oggi i limiti di comunità invecchiate, paralizzate dalla routine, bloccate da un cristianesimo tradizionale. Una pastorale senza interiorità, destinata a produrre mediocrità spirituale. Occorre invece promuovere e incentivare un’esperienza personale di Dio.

La conversione di cui ha bisogno il nostro modo di vivere non si può improvvisare, richiede un lungo tempo di raccoglimento e di lavoro interiore. Occorre fare maggiore verità nei nostri cuori, e  riconoscere la conversione di cui abbiamo bisogno per accogliere più fedelmente Gesù Cristo al centro della nostra vita.
Può essere questa la nostra tentazione di oggi. Quella di non andare nel «deserto». Non ascoltare nessuna voce che ci invita a cambiare. Distrarci con qualunque cosa per dimenticare le nostre paure e dissimulare la nostra mancanza di coraggio nell’accogliere la verità di Gesù Cristo.
Due temi s’intrecciano oggi, e sono la conversione e la strada. Credere è un movimento che va da sé verso l’esterno, verso gli altri e attraverso gli altri verso l’Altro. Il cristianesimo fu chiamato «la Via» anche nel senso che è Dio che cammina verso di noi, rendendoci così più facile il nostro cammino di ricerca. Dio si può trovare perché non è lontano: non è nei cieli perché tu possa dire: non posso raggiungerlo; non è negli abissi del mare perché tu possa dire: mi è impossibile… Egli è vicino, è nel tuo cuore.
La metafora della strada indica che nulla è mai fermo, ma tutto si muove verso uno scopo e una mèta. La strada non esiste per essere posseduta, ma per essere attraversata, perché essa collega il punto di partenza con l’obiettivo da raggiungere. La strada è una relazione che impone un impegno e una fatica.

La strada non è fuori di noi, ma dentro la nostra anima che conosce già la direzione e la meta. Perché la confusione e la superficialità non ci sovrastino possiamo diventare degni che Lui entri nella nostra casa, e sulla sua Parola gettare le nostre reti. La Scrittura è la strada maestra per trovarlo. Camminare sulla via della Scrittura significa indagare, sviscerare, spiegare, interpretare. Camminare è conoscere. Conoscere è amare. Amare è sperimentare. Sperimentare è ripetere, prendere confidenza, abituarsi alla novità, raggiungere il riposo dell’anima in Dio.

Compito dei cristiani nel mondo è costruire la strada abbassando le asperità e riempiendo le valli per facilitare agli uomini e alle donne del nostro tempo l’incontro con il Dio vicino, il Dio Padre e Redentore. Ogni uomo, ogni donna, ogni popolo ha un proprio itinerario spirituale che deve incrociarsi con Cristo «Via» che viene all’appuntamento della vita. Essere discepoli significa percorrere la stessa strada del Maestro e Signore, verso il compimento della nostra maturità, verso la Gerusalemme della nostra anima dove possiamo incontrare nella verità e nella pace la volontà di salvezza di Dio. L’Eucaristia che celebriamo è sempre un’iniziazione alla strada pasquale che percorriamo con tutta l’umanità, è il pane che ha nutrito Elia pellegrino perseguitato verso la montagna di Dio «perché troppo lunga è la strada per te», il pane che ci rafforza nell’affrontare le asperità della vita, mentre attendiamo l’incontro del Signore Gesù, facendo nostre le parole dell’Apocalisse: «E lo Spirito e la giovane sposa dicono: “Vieni!”. Così anche chi ascolta dica: “Vieni!”». Noi che ascoltiamo e mangiamo possiamo e vogliamo dire: «Sì, vengo presto! Amen! Vieni Signore Gesù».