04 Giu LA SOLENNITA’ DEL CORPO E DEL SANGUE DEL SIGNORE
Marco 14,12-16, 22-26
Oggi, infatti, noi celebriamo il «pane», il «vino» o per usare un linguaggio biblico: «la carne e il sangue». La solennità del «corpus domini» è quindi l’immersione nella materia fisica, anzi nella gracilità della condizione umana che ora è anche la dimensione di Dio, l’eterno incarnato nella fragile consistenza di un pane e di un vino poveri alimenti della mensa dei poveri. Non è un banchetto succulento o ricco, è solo un pane e un vino: la desolazione della povertà. Nel sacramento dell’Eucaristia come in tutti i sacramenti, la materia simbolica che esprime il senso profondo della realtà è sempre un elemento della natura che è anche alimento dell’umanità come l’acqua, l’olio, il pane, il vino oppure elementi portanti della relazione umana, come il perdono e l’amore. Il senso di questi elementi / alimenti / relazioni è rivelato da una parola che nel momento in cui li sottrae al loro significato materiale, li svela e li rivela come veicoli di un senso nuovo e vitale. «Questa è la mia carne… questo è il mio sangue» sono affermazioni da brivido che non possono essere più intese nel senso materiale, ma siamo costretti dalle parole stesse a entrare in una dimensione nuova che solo la rivelazione può esprimere: carne e sangue sono la natura del Figlio di Dio, la sua vita, e questa vita comunicata a noi in forma di cibo che alimenta la vita. Si forma così un circuito di comunione che alimenta in forma costante vita da vita. Se questa è la prospettiva, l’Eucaristia è il cibo di chi è fragile perché senza quel pane e quella bevanda non potrà raggiungere il monte del Signore. Nessuna condizione umana, nessuna situazione intricata, nulla può impedirci di mangiare il «cibo degli angeli» perché è il cibo dei poveri, il cibo di chi ha fame e sete di Sapienza. Siamo stati creati per l’Eucaristia ed essa è la via per giungere all’alleanza annunciata da Gesù e testimoniata dal dono della sua vita. Gesù ha voluto il banchetto non per l’esclusione, ma per l’inclusione perché il suo sangue cioè la sua vita, è stato versato «per tutti».
Nulla è estraneo a Dio, non lo spirito, non la materia, non il nostro corpo che partecipa della sua stessa identità. Ogni giorno, facendo la comunione, noi diventiamo «Parola di Dio» ascoltando e «Corpo di Cristo».
Il nostro corpo è anche sede di passioni, di tendenze, di fratture, di ansie, di bisogni, di aneliti, di stanchezze, di malattie, di fatica, di pesantezza, di forza, di gioia, di tenerezza…tutto ciò fa parte della fragilità umana e in quanto tale appartiene a Dio perché oggi «nella carne di Dio» noi celebriamo «un Dio di carne».
Celebrare il «corpo del Signore» significa anche prendere coscienza che questo «corpo» di Dio patisce la fame a causa della miseria causata da sistemi d’ingiustizia e di potere che si autodefiniscono cristiani. La fame di tanta parte dell’umanità, dopo duemila anni dall’incarnazione di Cristo nella nostra umanità, è la bestemmia più grave che grida al cospetto di Dio. Gesù, infatti, ha detto: “Fate questo in mio ricordo”. Gesù ci ha lasciato un mandato che dobbiamo rispettare ed al quale non dovremmo mai non dare importanza, quello che ci ha lasciato detto il Signore è questo: “Fate questo perché vi ricordiate di me”. Sono state le sue ultime volontà. L’importante non è cenare insieme, ma rendere vivo ed attuale quello che ha rappresentato quella cena d’addio. Emmanuel Levinas disse che Gesù “con l’umiliazione della discesa si è fatto prossimo all’uomo e che solo così l’ uomo può sanare il suo egoismo, diventare la persona vera che non si chiude in se stessa ma si apre sugli altri come espressione della tenerezza e dell’amore di Dio. Essere discepoli del Crocifisso non vuol dire soffrire, chiedere che il dolore cada sopra di noi, vuol dire pensare agli altri, dedicarsi al prossimo, accogliere tutte le forme di privazione di vita, nell’ordine fisico psichico e spirituale, per portarvi dentro tutta la tenerezza di Dio che è vita.”
L’uomo vero è colui che trasferisce nell’altro che si presenta sempre nuovo, infinito, tutto il suo disegno di vita. Questa è l’Eucarestia che è il centro della nostra vita. Gesù voleva dirci che dobbiamo incarnare nell’umanità lui stesso, il suo spirito, la sua fame e sete di giustizia, il suo impegno nel realizzare un mondo diverso, una famiglia umana differente. Ma lo abbiamo lasciato lassù alla destra del Padre, lontano da noi. Mentre lui ha detto: Prendete e mangiate perché questo è il segno della tenerezza di Dio che scende nella vostra carne vicino a voi. L’Eucarestia è una discesa permanente, Gesù ha inaugurato una relazione permanente con un Dio che discende nella carne umana, si umilia e si fa obbediente fino alla morte di croce.
Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l’insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”; dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “sì”. Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente e incomparabile. Dove gli uomini dicono “spregevole”, lì Dio esclama “beato”. Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima. Lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia.
Dietrich Bonhoeffer
Questo è celebrare oggi l’eucaristia.