Guariento Mario | DOMENICA DELLA ASCENSIONE
Tutte le opere, i commenti, le riflessioni di Don Mario Guariento
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DOMENICA DELLA ASCENSIONE

13 Mag DOMENICA DELLA ASCENSIONE

Mc 16, 15-20

La tua ascensione al cielo, Signore, mi colma di gioia perché è finito per me il tempo di stare a guardare ciò che fai e comincia il tempo del mio impegno. Ciò che mi hai affidato, rompe il guscio del mio individualismo e del mio stare a guardare facendomi sentire responsabile in prima persona della salvezza del mondo.
A me, Signore, hai affidato il tuo Vangelo, perché lo annunciassi su tutte le strade del mondo.
Dammi la forza della fede, come ebbero i tuoi primi apostoli, così che non mi vinca il timore, non mi fermino le difficoltà, non mi avvilisca l’incomprensione, ma sempre e dovunque, io sia tua lieta notizia, rivelatore del tuo amore. Non guardate in alto! Il nostro pericolo nostro è di fare della contemplazione dei grandi misteri della salvezza altrettante occasioni per fuggire dalla responsabilità di assumere l’impegno quotidiano di trasformare la nostra vita e la storia. La grande tradizione ascetica del cristianesimo sembra essersi costruita sull’ideale della fuga dal mondo. È contro questa tentazione che oggi parla la Scrittura.  Nella Resurrezione dai morti, come dice Paolo agli Efesini, si è manifestata la straordinaria grandezza della potenza di Dio che agisce e continua ad agire. Il tempo che dura, le generazioni che si succedono, la storia che ci carica dei suoi pesi e delle sue terribili compromissioni, sembrano allontanare da noi ogni prova che il Regno di Dio viene. Viviamo veramente in una situazione di desolazione, e perciò ci è più difficile vivere nella speranza senza tentennamenti. Occorre la forza dello Spirito. Il compito dei credenti non è di starsene sulla terra a contemplare i cieli, ma di andare, di accettare la condizione itinerante come una condizione specifica della fede. In un tempo in cui i turbamenti sono così gravi, in cui l’incertezza del futuro ci tiene col fiato sospeso, è necessario sottolineare che è proprio questo il luogo della fede. Noi dobbiamo rimanere immersi nel moto della storia. E quanto più le circostanze storiche mostrano la fragilità del divenire, mostrano la provvisorietà degli apparati socio-politici, tanto più la fede è vigile: perché questo è il momento di Dio. La terra è il luogo in cui Dio si manifesta, la terra che fiorisce nelle libere creazioni dell’uomo, secondo il bene e secondo il male. La tentazione integrista, cioè la tentazione di dare alla società un ordine tale da poter dire: « finalmente il regno di Dio si vede » è sempre nel nostro cuore. Vivere la stagione dell’attesa con pazienza, è difficile. Viviamo in un mondo del tutto secolare, non ci sono spazi sacri, non ci sono città sante, non c’è nulla su cui si possa mettere il sigillo della realizzazione. Solo l’Eucaristia, la Cena che facciamo può darci una legittima gioia di anticipazione. Questa è la liturgia della speranza e dell’attesa, ma le opere e i giorni sono sottoposti alle leggi di questo mondo. È importante mantener ferma questa speranza nel rispetto dei tempi, nel rispetto dei modi storici, delle forme storiche che assume la vita dell’uomo, senza volerla afferrare per possederla in nome di Dio. Noi dobbiamo annunciare un Vangelo, essere testimoni del Vangelo e niente più. Quando le nostre speranze di cristiani si posano su realtà di questo mondo, siamo in un momento pericoloso. Da una parte ci sembra giusto che la speranza cristiana utilizzi sicurezze, strutture, forze politiche, ma così ci prepariamo alla disperazione perché niente regge, tutto si scompone in questo mondo. Vorremmo rendere assoluto quel che non lo è; mettere dalla parte di Dio quel che è dalla parte dell’uomo. È molto più vicino alla sapienza evangelica il rifiuto di ogni appoggio, di ogni sicurezza: è l’unico modo per ritornare uomini fra gli uomini. La nostra sicurezza è in Dio la cui gloria ci sarà manifestata quando Egli verrà.

L’esaltazione di Gesù non può presentarsi in maniera tale che faccia pensare che Gesù si è allontanato per sempre da questo mondo e men che mai che Gesù si divinizzi fino al punto che per questo stesso motivo sia per noi meno umano. È l’esatto contrario: l’esaltazione di Gesù è  la sua più profonda umanizzazione ed anche la nostra. L’Ascensione è l’Esaltazione dell’Umanità di Dio in Gesù. Non c’è nulla di più geniale e di divino della nostra povera, semplice ed umile umanità. Un Cristianesimo “che faccia perno unicamente sul bisogno di tranquillità e di ordine, e lo favorisca come l’unica virtù, non ci può dare che cristiani mediocri e una pavida cristianità e taglia con le proprie mani i ponti delle grandi strade del domani. II più grosso pericolo per una religione di vita non è il camminare pericolosamente, ma il fermarsi troppo saggiamente. Ogni separazione tra la fede e la vita aumenta l’incredulità e avvelena mortalmente ogni crescita dell’umanità. Un cristianesimo come stile è allora quello nella forma di un amore che cerca, di una libertà che rischia; la libertà è infatti “la stessa aria della carità”. L’ascensione vuol dire che da ora non è più possibile una storia dell’umanità senza la storia di Dio e la storia di Dio senza la storia dell’umanità, di ogni singola persona umana che diventa così «comandamento» visibile e incarnato della Presenza di Dio. Ascensione per noi significa inoltre che nessuna «discesa» è definitiva, ma che dentro di noi c’è il Dna del mondo di Dio, il sigillo della sua vita; così nessun fallimento può dire l’ultima parola su di noi, perché siamo chiamati ad «ascendere» al cielo, ad andare in alto per abitare «con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» del cuore di Dio. Il Signore si è sottratto alla nostra vista per rendersi visibile negli eventi della storia e nel volto dei fratelli e delle sorelle. Forse ci siamo addormentati, forse ci siamo distratti, forse dobbiamo chiedere perdono per tutte le volte che non abbiamo riconosciuto la sua Presenza nella quotidianità della nostra esistenza, preferendo chiuderci nella sicurezza apparente del nostro egoismo o della nostra religiosità. Nell’attesa noi celebriamo l’Eucaristia, il sacramento della missione e della parola, il sacramento che ci libera da ogni particolarismo e ci apre all’ascensione, cioè ci introduce nell’intimità con Dio perché rivela a noi stessi che siamo nel mondo sacramento visibile della credibilità di Dio e testimoni del suo amore sconfinato.