Guariento Mario | DOMENICA 21.03.2021
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DOMENICA 21.03.2021

22 Mar DOMENICA 21.03.2021

QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA
Giovanni
12, 20-33

«Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c ‘erano anche al­cuni greci». È un’affermazione che può sembrare semplicemente introduttiva, ma che è strettamente legata all’ultima espressione che conclu­de un episodio sconvolgente: la risurrezione di Lazzaro. Questo segno aveva sconvolto non soltanto i presenti ma anche i capi e i responsabili del popolo. Sono aumentati panico e paura. Bisogna pertanto fare qualcosa per fermare questo profeta. «I Farisei allora dissero fra di loro: “Vedete che non concludete nulla? Il mondo gli sta andando die­tro”». I greci dei quali si parla qui possono essere «il mondo» che è stato colpito dal gesto compiuto da Gesù nel risusci­tare Lazzaro, e perciò va dietro a chi si è rivelato ca­pace di ridare la vita ai morti. Di fronte a questa esplosione di vita, la constatazione di chi vuole resta­re invece nella propria morte è di dare la morte a chi dà la vita. Tutto il testo può essere letto tenen­do conto di questo scontro tra colui che dà la vita ai morti e coloro che vogliono dare la morte a chi sta dando la vita. È uno scontro tra la luce e le tenebre, perché «in lui era la vita e la vita era la luce del mon­do, ma le tenebre non l’hanno voluta accogliere». Gesù in questo momento nel quale sente così vicina e reale la sua morte la legge secondo la sapienza del Padre, comprende che la morte è generatrice di vita, che il rifiuto è promessa di futuro fecondo. Da qui nasce nel cuore di Gesù la parabola del «chicco» di grano. Gesù sapientemente legge la realtà della sua morte imminente come promessa di un futuro di vita nuova e si identifica con il chicco frantumato, marcito, per portare la vita. Gesù può così indicare nella propria umiliazione la strada della vita piena.

La custodia della vita, para­dossalmente, si identifica con la capacità di darla. Dunque, se il chicco di grano rimane chiuso in se stesso, magari difenderà pure la propria identità vita­le, ma non si moltiplicherà: occorre avere il coraggio di perdere se stessi per potersi ritrovare. È un para­dosso che può mettere paura, ma è la bella notizia del vangelo. La logica evangelica non è la logica dell’egoismo, del potere. È la logica dello spreco. «chi ama la propria vita la perde e solo chi perde la propria vita la ritroverà». Gesù si pone, dunque, di fronte al discepolo come un modello vivente. Il discepolo non deve preoccu­parsi di osservare altre leggi, altre regole, deve sem­plicemente mettersi dietro di lui; lasciarsi insegnare ed educare dalla sua sapienza dell’evangelo. Chi vive la sapienza dell’evangelo riceve ora questa promessa: «Dove sono io, là sarà anche il servitore, quello mio»; e in questa sottolineatura,si nasconde un’intimità straordinaria. Non dice semplicemente il «mio servitore», ma «il servitore che ho fatto mio», il servitore che si è a tal punto unito a me che è di­ventato tutt’uno con me.

“Ora l ‘anima mia è turbata; e che devo di­re? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora! Ormai Gesù aveva chiaramente compreso che il suo itinerario personale si sa­rebbe concluso con una morte violenta. Come tutti noi, sen­tiva anche lui dentro di sé la difficoltà di accettare, di accogliere, questo ineluttabile modo di esprimersi dell’amore di Dio su di lui. È arrivata l’ora, l’ora decisiva. È l’ora in cui Colui che è venuto per dare la vita, ora, deve concretizzare la sua scelta, ma l’interferenza delle sue emozioni umane si fa adesso ancora più forte. Prova anche lui la tentazione di sfuggire a questa particolare realizzazione dell’ amore di Dio. Questo «essere sconvolto» di Gesù manifesta fino in fondo l’uma­nità di Gesù. Ma in Giovanni Gesù è anche padrone della propria vita, padrone della propria umanità che perciò piega alle esigenze dell’a­more. Gesù si offre perché sceglie di offrirsi. Anche noi proviamo fino in fondo tutta la sofferenza che può comportare la visione di un cammino difficile nella nostra vita e qualche volta non vorremmo assolu­tamente percorrerlo. Però, se riusciamo a dare spazio alla fede, abbiamo in fondo anche noi la capacità, la li­bertà e il coraggio di affidarci generosamente all’amore di Dio.

Gesù si sottomette serenamente, liberamente, con amore, al Padre. A partire da questa decisione, esplode anzi nel cuore di Gesù una preghiera straordinaria: «Padre, gloriflca il tuo nome». Dio è glorificato quando si acco­glie il suo progetto, quando si permette al suo proget­to di realizzarsi. Questa è la vera glorificazione. Dunque non è una glorificazione fatta di parole, fatta di canti estatici, ma è l’accoglienza del progetto di Dio e la gioia di vederlo realizzato anche se comporta la frantumazio­ne del grano. L’orto del Getsemani è anche traducibile come l’« orto del frantoio»:  è, infatti, il luogo in cui Gesù è frantumato come si fran­tuma il grano per ricavarne la farina; senza la frantu­mazione non avremmo il pane.

« E venne una voce dal cie­lo: L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò». Gesù recepisce tutto questo a conferma del suo insegnamento e ag­giunge: « La voce non è venuta per me, ma per voi », come per dire: io sono già nel Padre, so­no già tutt’uno con lui, ma siete voi che avete bisogno della conferma. È per voi, dunque, che è venuto questo segno dal cielo, perché finalmente vi apriate a questo modo completamente nuovo di cono­scere e realizzare il progetto di Dio. Qui la glorificazione di Dio coincide con l’accettazione a essere seme che marcisce nella terra e muore per dare frutto. Ma para­dossalmente questa umiliazione, questo abbassamento totale è anche l’innalzamento più grande, il più alto che si possa immaginare.