26 Feb DOMENICA 28.02.2021
SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA
Marco 9, 2-10
Con ogni probabilità si tratta di una esperienza pasquale proiettata sul cammino terreno della storia di Gesù. Come indica la finale primitiva del suo vangelo (16,18), « Il Signore Gesù dopo aver parlato con loro fu assunte al cielo», Mc ha velato accuratamente tutto ciò che si riferisce alla visione concreta di Gesù risorto.
Ciò significa che il suo trionfo finale sulla morte non si può raccontare come si raccontano altri dati o momenti della vita di Gesù; la pasqua non è una scena nuova che si somma a quelle precedenti, non è un’esperienza accanto ad altre esperienze. Pasqua è tutto: è il modo di comprendere la storia di Gesù a partire dallo sfondo della sua morte già trasfigurata ossia superata.
Il Gesù glorioso non rinnega la sua vita messianica di fatica, di croce e di radicale fedeltà al Padre in una totale dedizione fino alla morte.
Sullo sfondo della croce, intesa come distruzione di ogni messianismo di potere e come crisi di ogni comprensione trionfalistica della storia, emerge la visione di luce risorta. Quello stesso Gesù, che ha rifiutato Pietro dicendogli drasticamente va indietro satana, lo chiama di nuovo, insieme a Giacomo e Giovanni, per condurli dall’abisso della morte alla sorgente pasquale di ogni vocazione.
Adesso vuole rivelare loro come anticipo pasquale l’altro lato del mistero della sua vita. Pietro, Giacomo e Giovanni sono saliti con Gesù e lo contemplano stupefatti, frastornati, mentre sentono la voce di Dio che dice: «Figlio». Essi sono esploratori della contemplazione e vogliono restare nella gioia già trasfigurata. Non tutto è distruzione e morte su questa terra. La visione di Gesù sulla montagna anticipa in qualche modo la gloria della pasqua nella storia nel cammino della sequela che porta fino alla croce. Il resto di discepoli soffre e si affanna a valle, volendo e non potendo guarire il ragazzo malato. Essi sono la chiesa immersa nella miseria della terra e senza il potere di guarirla, poiché il Figlio di Dio sembra essersi nascosto sulla montagna. Pietro, Giacomo e Giovanni sono i rappresentanti di tutti i discepoli che con Gesù salgono sulla montagna della rivelazione, in un impulso di ricerca pasquale.
Ora, questo stesso Gesù trasfigurato si presenta come segno della gloria di Dio, uomo celeste con vesti bianche come nessun’altra sulla terra. Trascendendo già il nostro dolore e la nostra morte, il Figlio di Dio, il Gesù risorto, dimora nel cielo pasquale del fulgore divino. Senza un qualsiasi tipo di esperienza pasquale non esiste discepolato. Soltanto se saliamo alle altezze del mistero potremo sentire la voce di Dio per seguire Gesù, suo Figlio fino alla croce. Gesù si trasfigura.Nella sua vita umana possiamo scoprire la gloria di Dio che rifulge sui suoi vestiti e sul suo volto. Non è un essere celeste, né un angelo lontano dalla terra. Il Figlio di Dio trasfigurato della pasqua è lo stesso Gesù che continua a camminare verso la sua morte. Perciò la scena di gloria sulla montagna non è una negazione della croce, ma è espressione del significato salvifico della croce.
I discepoli vogliono fare tre tende e restare lì per sempre. Vogliono arrestare la storia in un gesto di glorificazione anticipata della sua vita terrena. Non si può soddisfare questo desiderio, ma, al tempo stesso, sembra necessario. È come se improvvisamente la storia fosse già giunta al culmine, in linea con ciò che in fondo pretendeva Pietro, che aveva invitato Gesù Cristo a non addentrarsi per il sentiero della sofferenza. Ora, questo desiderio di stare nella gloria e di non soffrire è semplicemente un sogno: la voce della verità (che è voce di Dio) li scuote, li desta e li invita ad ascoltare Gesù e a seguirlo sul concreto cammino della morte per il regno.
La gloria di Dio si manifesta soltanto dove gli uomini sono capaci di seguire Gesù sul cammino della morte, del dono totale per gli altri. Vista così, la scena della trasfigurazione è una sorta di rafforzamento vocazionale per i discepoli di Gesù. Essi sono stati guidati sulmonte del paradosso, ossia, sul luogo dove il cammino dipassione del Figlio dell’uomo appare illuminato dalla sfolgorante luce della gloria. Non è gloria solo attesa, né evasiva, come se non vi fossero disgrazie. Volendo, si potrebbe parlare di gloria crocifissa: nelcammino che porta verso la sua morte scopriamo che Gesùè Figlio di Dio, e, al tempo stesso, vero uomo; in un certo senso contempliamo la sua gloria, ascoltiamo la voce di suo Padre e possiamo rispondergli.
La vita di Gesù sta tra due monti, il Tabor e il Golgota. I discepoli ne hanno un’anticipazione. Ascoltare Gesù significa essere trasformati dalla sua Parola. È una parola che guarisce, che cambia il cuore, fa fiorire la vita, dona bellezza, è come una luce nella notte. Spente le luci della trasfigurazione, resta Gesù solo, la Parola ultima di Dio. La fede non è una religione della visione ma dell’ascolto. I discepoli sono saliti sul monte per vedere uno spettacolo incredibile e sono rimandati dal Padre all’ascolto del Figlio. Scesi dal monte, nella loro memoria resta l’eco della sua ultima parola: “Ascoltatelo”! La visione cede all’ascolto. Il mistero di Dio è ormai tutto dentro la persona di Gesù, come pure il mistero dell’uomo.
La gioia della fede, infatti, convive con il dolore umano. La croce senza la trasfigurazione è cieca; la trasfigurazione senza la croce è vuota. La vera fede è la croce gloriosa. Prendere Gesù senza la croce è come stare dalla sua parte quando non costa fatica. Se si abbandonasse la croce su cui si è confitti (mai sconfitti), il mondo perderebbe l’equilibrio. È come se venisse a mancare l’ossigeno nell’aria, il sangue nelle vene, il sonno nella notte. Il dolore tiene desto spiritualmente il mondo. Sulla medesima croce stanno confitti Gesù e l’uomo. Gesù è confitto su un lato, l’uomo sull’altro. Gesù non se ne va e quando c’è bisogno di lui, basta chiamarlo. È lì, alle nostre spalle.