Guariento Mario | DOMENICA 25.10.20
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DOMENICA 25.10.20

23 Ott DOMENICA 25.10.20

Matteo 22, 34-40

La liturgia di oggi è molto attuale perché ci guida ad abitare la nostra coscienza a quel livello di profondità dove non possiamo assolutamente barare con noi stessi. Gesù ha appena mandato a vuoto l’insidia dei farisei che volevano coglierlo in contraddizione con la domanda sulle tasse, ora è interrogato su una questione tipicamente ebraica: qual è la priorità dei comandamenti o delle prescrizioni della Toràh?  Il NT ci offre tre interpretazioni di questo brano e quindi anche tre versioni diverse che dimostrano come il vangelo non sia un resoconto asettico finalizzato alla dottrina, ma un racconto offerto a comunità reali, diverse tra loro con problemi e interrogativi diversi. Il fatto è unico, ma le prospettive di lettura sono tre. Il pluralismo è insito nella Parola di Dio che non potrà mai essere ridotta a un’interpretazione univoca. Gesù con la sua predicazione risveglia la coscienza del popolo che era docile e sottomesso alla religione mercantile, mentre ora corre dietro a lui che parla di liberazione, di perdono, di misericordia e di beatitudine per i poveri con un linguaggio e un contenuto inauditi. In ogni tempo, ieri come oggi, è pericoloso risuscitare la coscienza del popolo: si sa dove si comincia, ma non si sa dove si va a finire perché la coscienza è pericolosa! Bisogna distrarla, assopirla, drogarla con i giochi, con la tv, con una selva di leggi camuffate per disorientare, stordire, distrarre attraverso i mass-media e la disinformazione. Bisogna eliminare il pericolo alla radice, distruggendo l’idea e uccidendo l’avversario accusandolo di essere eretico, estremista, bestemmiatore. Tutto allo scopo di impedire che la coscienza diventi un metodo di lettura delle cose e degli eventi. Gesù non si sottrae alla risposta, ma supera la domanda e rimanda a quel «principio» che è il fondamento di tutto ciò che segue come sviluppo della storia. Egli svela il cuore della Toràh : amare Dio sempre e amare il prossimo. Gesù viene a liberare non solo dal peccato, ma anche e principalmente dalla religione affermando la fedeltà totale alla Parola di Dio, e nello stesso tempo facendo piazza pulita di tutta una tradizione abitudinaria che si era sostituita alla dinamica interiore della Parola di Dio, riducendola a una massa enorme di prescrizioni e divieti. Dio non è nella pratica religiosa, ma nella relazione, non è nel rito, ma nella vita, non è nell’ossessione delle regole morali, ma nell’amore, nell’osservare i comandamenti, dove «osservare» sta per «custodire», cioè mantenere costante un rapporto d’intimità affettiva.
La nostra rivoluzione è imitare Dio, seguire il comandamento dell’amore che il vangelo oggi ci propone come ideale e come testimonianza di vita perché esso è la vita stessa. Noi possiamo dare inizio ad un mondo diverso, ad una chiesa diversa, ad una religione diversa. Possiamo, cominciando la rivoluzione dell’amore, iniziando a rivoluzionare la nostra vita e il nostro costume. 

Ci sorgono molte domande. Che significa amare Dio? Quando parlavano dell’amore per Dio, gli ebrei non pensavano ai sentimenti che possono sorgere nel nostro cuore. La fede in Dio non consiste in uno «stato d’animo». Amare Dio significa semplicemente centrare la vita in lui per vivere tutto partendo dalla sua Volontà.. Per questo Gesù aggiunge il secondo comandamento. Non è possibile amare Dio e vivere dimentichi della gente che soffre. Non esiste uno « spazio sacro» in cui “possiamo vedercela, da soli con Dio, voltando le spalle agli altri. Un amore per Dio che dimentichi i suoi figli e le sue figlie è una grande menzogna. La religione cristiana oggi risulta per non pochi complicata e di difficile comprensione. Probabilmente necessitiamo di un processo di concentrazione sull’essenziale per distaccarci da ciò che è secondario e rimanere con ciò che è importante: amare Dio con tutte le nostre forze e voler bene agli altri come amiamo noi stessi. Quando dimenticano l’essenziale, facilmente le religioni si addentrano per vie di devota mediocrità o di casistica morale, che non solo rendono impossibile una sana relazione con Dio, ma che possono danneggiare gravemente le persone. Nessuna religione sfugge a questo rischio. È quasi impossibile muoversi con cuore integro in questa rete. La domanda che pongono a Gesù cerca di recuperare l’essenziale, riscoprire lo «spirito perduto». Nessuno pensi che, quando si parla dell’amore di Dio, si stia parlando di emozioni o sentimenti nei confronti di un Essere immaginario, né di inviti a preghiere e devozioni. “Amare Dio con tutto il tuo cuore» significa riconoscere umilmente il Mistero ultimo della vita; orientare con fiducia l’esistenza in accordo con la sua volontà: amare Dio comePadre, che è buono e ci vuole bene. Tutto ciò segna la vita in maniera decisiva, poiché significa lodare l’esistenza a partire dalla sua radice; prendere parte alla vita con gratitudine; optare sempre per il buono e il bello; vivere con cuore pregnante di umanità; resistere a tutto ciò che tradisce la volontà di Dio negando la vita e la dignità dei suoi figli e delle sue figlie. Questa centralità dell’amore si radica, secondo la fede cristiana, in una realtà: Dio, l’origine di ogni vita, lui stesso è amore. Questa è la definizione audace e insuperabile della fede cristiana: «Dio è amore», Dio consiste nell’amare; Dio non sa, non vuole e non può fare altro che amare. Possiamo dubitare di tutto, ma ciò di cui non dobbiamo mai dubitare è il suo amore. Proprio per questo, amare Dio significa trovare il nostro bene. Quello che dà vera gloria a Dio è la nostra vita e la nostra pienezza. Chi ama Dio e si sa amato da lui con amore infinito, impara a guardarsi, stimarsi e curarsi con vero amore. Questo dinamismo genera in noi la vera via di comprenderci. 

Quante paure e angosce scompaiono in noi, e quanto diversa è la vita, quando la persona impara a dire: «Signore, sia fatta la tua volontà, poiché così si va costruendo anche il mio bene». Chi ama Dio, sa di non poter vivere in un atteggiamento di indifferenza, trascuratezza e dimenticanza degli altri. Quello che ci si chiede di fare, in ogni caso, è cercare positivamente il bene che vorremmo per noi stessi. In tempi in cui sembra mettersi in discussione tutto, è bene ricordare che esiste qualcosa che non può essere in discussione: l’uomo è umano quando sa vivere amando Dio e il suo prossimo. 

Poco a poco, la mancanza d’amore va facendo dell’uomo un condannato alla solitudine, un essere sempre indaffarato e mai appagato. La mancanza d’amore va disumanizzando i nostri sforzi e le nostre lotte per ottenere alcuni determinati obiettivi politici e sociali. Per molte che siano le nostre conquiste sociali, poco saranno cambiate le cose se continuiamo ad essere tanto immunizzati all’amore, all’attenzione agli indifesi, al servizio gratuito, alla generosità disinteressata o alla condivisione con i bisognosi. Per molti, l’ideale della vita è «sentirsi bene». Tutto il resto viene dopo. La prima cosa è il miglioramento della propria qualità della vita, evitare quello che ci può molestare, in qualsiasi modo, cercare il nostro piccolo benessere materiale, psicologico e affettivo. Non si pensa ai problemi degli altri.  È buono tutto ciò che non mi danneggia. L’importante è essere intelligenti e agire con abilità. 

C’è un modo molto semplice per sapere cosa rimane di «cristiano » in questo individualismo moderno, e consiste nel vedere se ancora ci preoccupiamo dei sofferenti. Essere cristiani non significa sentirsi bene o male, ma addolorarsi per quelli che vivono male, pensare a quelli che soffrono e reagire davanti alla loro impotenza, senza rifugiarci nel nostro benessere. Non si deve dare per scontato che siamo cristiani, poiché può non essere vero. Non basta domandarci se crediamo in Dio o lo amiamo. Dobbiamo domandarci se amiamo come fratelli i sofferenti.