13 Lug DOMENICA 12.07.20
Matteo 13, 1-23
Il testo si apre con un’annotazione geografica: Gesù esce da casa e va a sedersi di fronte al mare come un rabbi nell’atto di insegnare e quindi in un atteggiamento di autorità: egli, infatti, è un maestro di vita che raccoglie attorno a sé «molte folle». Con ogni probabilità, Gesù ha pronunciato solo i primi nove versetti in cui descrive uno scenario che si estende tra la semina e la mietitura. Gesù pone l’accento sulla fatica che deve fare la semente per arrivare a frutto, una fatica lenta e pesante che spesso può contrastare con l’attesa del seminatore. In questo modo, accennando all’abbondante raccolto, Gesù allude alla mietitura di cui parla il profeta Gioele. Il profeta però è ironico perché descrive l’abbondanza del male che prospera sulla terra, per cui convoca tutti i popoli nella valle di Giosafat per decretare la condanna nel giorno del giudizio.
Gesù al contrario non solo non annuncia un giudizio, tanto meno di condanna, ma ne attenua la durezza e la perentorietà, preoccupandosi invece di concedere ancora tempo supplementare perché nessuno si perda. La pazienza di Gesù si esprime al meglio nel fatto che Egli è il Dio che parla: parlando, dona il tempo all’uomo per una risposta, e quindi attende. La pazienza di Dio non va confusa con l’impassibilità di Dio, anzi, essa è il «lungo respiro della sua passione» (E. Jùngel), è la lungimiranza del suo amore, ed è una forza operante anche quando il movimento di conversione non è ancora compiuto. Per il cristiano la pazienza è coestensiva alla fede: ed è sia perseveranza, cioè fede che dura nel tempo, che «capacità di guardare e sentire in grande», cioè arte di accogliere e vivere l’incompiutezza. La pazienza è la virtù di una chiesa che attende il Signore, che vive responsabilmente il non ancora senza anticipare la fine e senza erigere se stessa a fine del disegno di Dio. Essa rigetta l’impazienza del perfezionismo e percorre la via faticosa dell’ascolto, dell’obbedienza e dell’attesa nei confronti degli altri e di Dio per costruire la comunione possibile, storica e limitata, con gli altri e con Dio. La pazienza è attenzione al tempo dell’altro, nella piena coscienza che il tempo lo si vive al plurale, con gli altri, facendone un evento di relazione, di incontro, di amore. Per questo, forse, oggi, nell’epoca stregata dal fascino del «tempo senza vincoli» — in cui la libertà viene spesso immaginata come l’assenza di legami, di vincoli, come possibilità di operare dei ricominciamenti assoluti dall’oggi al domani, che riportino a un incontaminato punto di partenza, azzerando o rimuovendo tutto ciò in cui prima si viveva, e anzitutto le relazioni e gli impegni assunti — può apparire così fuori luogo, e al tempo stesso così urgente e necessario, il discorso sulla pazienza: sì, per il cristiano, essa è centrale quanto l’agape, quanto il Cristo stesso. Il pazientare, cioè l’assumere come determinante nella propria esistenza il tempo dell’altro, di Dio, è infatti opera dell’amore.
Gesù parla di se stesso nello stesso momento in cui agisce. Parla, infatti, non di «un seminatore» qualsiasi, ma de «il seminatore», usando l’articolo individuante:«Il seminatore uscì per seminare». Gli ascoltatori non possono che pensare a lui; allo stesso modo le quattro tipologie del terreno non indicano quattro aspetti morali, ma descrivono con enfasi l’abbondanza del seme apparentemente sprecato sulla strada, sul terreno sassoso, superficiale e spinoso. A guardare questa semina con gli occhi della quotidianità banale, tutto sembra sprecato e inutile; bisogna solo saper guardare con gli occhi del futuro e aspettare che il terreno dia frutto, per verificare che nulla va perduto nel contesto della dinamica dell’amore. In questa dispersione del seme su ogni tipo di terreno, che sembra quasi voluta, Gesù intende inaugurare il tempo della misericordia che è la capacità di Dio di saper aspettare fino all’ultimo, anche oltre il limite della giustizia umana. Gesù apre il tesoro della Parola a tutti coloro che la desiderano e quasi ne prepara le condizioni. Egli è come la Sapienza che prepara un banchetto nella sua casa per coloro che l’amano e non curandosi dell’accoglienza del terreno, offre sempre una possibilità, dando un supplemento di tempo per prendere una decisione. Gesù paragona la conoscenza nella fede alla vita economica di cui cita una legge basilare: chiunque abbia un capitale produce interessi, chiunque non abbia capitali produce nulla: «Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha.» Non è un giudizio, ma una constatazione. Il motivo per cui Gesù parla in parabole non è per «nascondere» il senso del suo messaggio, ma al contrario, egli parla in parabole perché le folle sono prevenute e ostili al suo insegnamento. Alla proposta di Gesù bisogna accostarsi con cuore, orecchi e occhi. Bisogna percepire, ascoltare, vedere. L’offerta di Gesù di una visione nuova della vita è un’esperienza concreta e riguarda il cuore, cioè l’intelligenza e la sapienza; gli orecchi con cui si ascolta, si mangia la Parola interiorizzandola, perché nessuna conoscenza è possibile senza ascolto interiore; infine gli occhi, cioè la capacità di riconoscere la presenza di Dio o la sua assenza nelle varie condizioni in cui si trova il terreno che riceve il seme. In questa motivazione, troviamo il criterio di ogni relazione e specialmente di ogni relazione d’amore che esige tre disponibilità: la sintonia, l’adesione e la sperimentazione. Segue la seconda parte che è un’interpretazione della comunità cristiana primitiva e che Matteo presenta come esegesi di Gesù. Siamo alla fine del primo secolo d.C., le chiese locali sono diffuse ovunque e sono anche organizzate, quasi mezzo secolo separa dalla morte di Gesù e sorgono nuove problematiche per le quali bisogna predisporre nuove soluzioni. È un tempo in cui non si deve più spiegare quale sia la missione di Gesù nel mondo, dal momento che egli è risorto, ora è necessario spiegare a quanti accedono al cristianesimo quali siano i motivi e le condizioni della loro adesione. In un contesto di contrapposizione col giudaismo ufficiale e di persecuzione da parte dei Romani, non è importante che cosa succederà alla fine del mondo, ma ora interessa come affrontare le difficoltà e gli ostacoli che la persecuzione comporta. Secondo i rabbini del tempo di Gesù Amare Dio con tutto il cuore significa amarlo con le due tendenze che abitano il cuore: la tendenza al bene e quella al male. Anche quando siamo tesi al male, Dio è lì e noi dobbiamo amarlo anche con le fratture, anche con le divisioni che viviamo. Partecipare all’Eucaristia significa acquisire il cuore, l’anima e le forze per affrontare qualsiasi situazione di terreno senza mai scoraggiarsi, nutrendoci della povertà del Pane e della Parola che ci aprono all’intelligenza della vita e della storia, cioè alla comprensione del disegno di felicità e di uomo nuovo che Gesù ci propone, sapendo che nessuno di noi vive per sé stesso, ma come il seminatore siamo mandati a seminare il futuro di una umanità dove ognuno abbia il pane, la dignità e la libertà.