30 Mag SABATO 30.05.2020
Sabato 30 maggio. Giovanni 21, 20-25
«Pietro si voltò e vide il discepolo prediletto di Gesù, quello che nella cena si era appoggiato a Gesù e gli aveva chiesto chi fosse il traditore. Pietro dunque lo vide e disse a Gesù:
– Signore, che cosa sarà di lui? Gesù gli disse:- Se voglio che lui viva fino al mio ritorno, che t’importa? Tu, seguimi! »
Forse anche noi nella nostra esperienza di vita abbiamo ricevuto incoraggiamento e fiducia da uno sguardo; possiamo dare vita e ridare coraggio con uno sguardo. Come diceva bene Simone Weil: «Una delle verità fondamentali del cristianesimo, verità troppo spesso misconosciuta, è questa: ciò che salva è lo sguardo». Il non fermarsi alle apparenze. Su Pietro nella notte del suo tradimento si concentrano diversi sguardi, ma uno in particolare sarà importante per lui, quello di Gesù. Gesù ha creduto Pietro differente da quello che tutto lasciava credere. E la storia del loro amore ha potuto ripartire da capo. Qualche volta per noi come per altri la superficie non è che una corazza difensiva. Fermarci a essa può essere segno di mancanza di amore. Darci reciprocamente la possibilità di essere quello che si è ed essere percepiti per quello che siamo è un grande dono che non sempre siamo pronti a scambiarci. La storia di Pietro ci fa prendere coscienza che nella nostra vita nulla avviene per caso, niente è inutile, tutto è recuperabile e adoperabile. Dipende sempre da noi e da come ci rapportiamo con quanto ci capita. Quanto Pietro ha vissuto, in effetti, lo ha aiutato a cambiare, a convertire il tipo di rapporto che intratteneva con Gesù.
C’è stato un momento, e lungo, in cui ha pensato che doveva fare qualcosa per Gesù, finché Gesù non gli ha detto che se non accettava di farsi lavare i piedi non avrebbe condiviso la sua vita. C’è stato un tempo in cui aveva pensato di essere pronto a morire per il Maestro. Ora ha realizzato che è il Maestro che morirà per lui. Ora sa che nella vita non basta amare, ma occorre anche lasciarsi amare. E qualche volta è ancora più difficile, perché quando si ama si conserva l’iniziativa sia di tempo che di luogo che di azione. Ma quando ci si lascia amare ci si deve arrendere all’iniziativa altrui che magari ci sorprende, ci spiazza, ci turba, ci rende vulnerabili. Primo Levi ricava proprio questa lezione dalla sua drammatica esperienza: «Noi siamo infatti persuasi che nessuna umana esperienza sia vuota di senso e indegna di analisi, e che anzi valori fondamentali, anche se non sempre positivi, si possano trarre da questo particolare mondo di cui narriamo. Vorremmo far considerare come il Lager sia stato, anche e notevolmente, una gigantesca esperienza biologica e sociale» (P. LEVI, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 2000). Tutto questo capovolgimento è stato possibile dal momento in cui Pietro ha capito che non era il primo della classe, che era un peccatore come e più degli altri, che Gesù aveva fatto male a fidarsi di lui. A partire da quel momento Gesù ha potuto costruire veramente su di lui e con lui perché aveva accettato di essere argilla nelle mani del Signore, modellabile a piacimento. In questo senso possiamo dire che il peccato gli ha reso un servizio: gli ha permesso di contare meno su di sé, sulle proprie forze, sulla propria santità e più sul Signore e capire che lui e lui solo rende santi.
Se avesse voluto, Gesù avrebbe potuto scegliere per il compito di aiutare i fratelli qualcuno più puro, più santo. Giovanni, per esempio. E invece no. La responsabilità della e nella Chiesa Gesù la affida, a Pietro e proprio quando non se lo aspettava più a causa del suo peccato. Ormai non se lo aspetta più, non ha più il diritto di aspettarselo, non è più il primo della classe, come lo era stato tante volte nei vangeli, quando era pronto a rispondere: «Tu sei il Figlio di Dio. Tu sei il Cristo»; «Con te sono disposto ad andare alla morte». Qui porta nel suo cuore le tracce del suo peccato ed è proprio qui, in questo momento, che il Signore gli affida il primato con il compito di consolidare i fratelli. Gli affida questo compito alla fine del suo cammino, quando, non aspettandolo più, può solo riceverlo come dono e non come pretesa. Ormai può soltanto allargare le mani per riceverlo e non alzarle per chiederlo: è un dono completamente gratuito perché umanamente immeritato.
Ed è solamente ricevendolo e conservandolo come dono, e non come privilegio da difendere e da gestire in proprio, che Pietro sarà capace di vivere in libertà, con gioia, distaccato dai risultati immediati tangibili.