09 Ott Domenica ventottesima Luca 17, 11-19
Il nostro cammino è un lungo e paziente itinerario nella ricerca amorosa del volto di Cristo passando attraverso le prove della vita. Un cammino che non possiamo lasciare ritmare dal tempo, dalle scadenze, dagli impegni… è un cammino che giorno dopo giorno ci apre nell’umiltà, all’accoglienza del dono di Dio.
Un cammino dove ci misuriamo e rispondiamo alle attese di Dio, alla sua azione in noi per portare a maturazione l’uomo spirituale che lo Spirito vuole con noi costruire.
“Uno di loro vedendosi guarito tornò indietro lodando Dio a gran voce… e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era Samaritano.”
Tante volte siamo abitudinari, osservanti e pii ma dimentichiamo la gratitudine che genera lo stupore e la contemplazione. Il discepolo grato e interiormente ricco, non solo ha coscienza dei doni ricevuti ma si ricorda sempre di essere amato. E questo è per lui beatificante.
Ogni discorso sull’amore in cui manchi la gratitudine è un discorso sterile e senza la gratitudine la vera bellezza dell’amore rimane nascosta.
La gratitudine è un atteggiamento interiore, come un profumo, che ci fa vivere davanti a Dio nello stupore della sua bellezza, ci fa coscienti della nostra pochezza che chiama l’amore immenso e misericordioso di Dio a colmarla, che ci apre il cuore grato ad accogliere chi è nel bisogno e solo. Luigi Pintor scrive nel suo Servabo: “Non c’è in una intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi.”
Non possiamo avere un cuore di pezza ma sentimenti profondamente radicati nell’essere umano. Fin da piccoli ci insegnano a ringraziare, poiché la riconoscenza è l’atteggiamento più nobile di fronte a quanto riceviamo nella vita. Tuttavia, sono molti coloro che si ricordano di Dio solo per esprimergli le loro lamentele o chiederne l’aiuto nei momenti di bisogno. In loro non nasce mai la riconoscenza o la lode per il bene che hanno nelle loro vite.
La prima cosa per essere grati è cogliere il positivo della vita e non smettere di stupirci di fronte al bene: il sole di ogni mattino, il mistero del nostro corpo, il risveglio di ogni giorno, l’amicizia delle persone, la gioia dell’incontro, il piacere, il riposo ristoratore, la musica, l’arte, lo sport, la natura, la fede, la famiglia. È necessario poi percepire tutto ciò come dono proveniente da Dio, fonte e origine ultima di ogni bene. La vita allora si trasforma spontaneamente in lode. Nonostante i dispiaceri, i fallimenti, l’esistenza è un dono che dobbiamo accogliere ogni giorno con atteggiamento di lode.
I nove guariti che non ritornano da Gesù non si sono sentiti interessati a sapere della persona del loro benefattore, a conoscere chi realmente egli era. Non hanno avvertito il bisogno di passare dalla esperienza della guarigione miracolosa alla penetrazione del mistero della sua Persona. Gesù resta per loro un grande taumaturgo e nulla più; la sua vera identità rimane loro ignota, resta nascosta, sconosciuta. Non sono interessati a scoprire e a conoscere il significato della sua Persona nella storia e della sua missione.
La loro accorata implorazione si esprime in termini di fiducia verso Colui che può compiere il prodigio della guarigione. È una fiducia nella sua potenza, nel suo valore taumaturgico. Nel racconto di Luca tutti i dieci lebbrosi sono guariti, ma uno solo è salvato interiormente con quella salvezza che veramente Cristo è venuto a portare al mondo. L’ottenuta guarigione poteva essere un mèzzo per giungere alla salvezza, ma lo fu solo per uno dei dieci.