Guariento Mario | Domenica ventisettesima. Luca 17, 5-10
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Domenica ventisettesima. Luca 17, 5-10

02 Ott Domenica ventisettesima. Luca 17, 5-10

Domenica ventisettesima. Luca 17, 5-10
Il testo che è proposto alla nostra meditazione è una splendida sintesi degli atteggiamenti che
ogni discepolo del Signore deve portare nella sua vita: credere e amare nella gratuità. Credere è
immergere il nostro cuore nel cuore di Dio, a Lui abbandonarci e consumare la nostra vita per i
fratelli, così come ha fatto Paolo che scrive a Timoteo dal carcere di Roma poco prima di essere
giustiziato. Il male presente nel mondo non può mai diventare un alibi o una giustificazione per
sottrarci al grande impegno di vivere la fede e la carità.
«Accresci in noi la fede!». Gesù lo dice ai discepoli chiaramente: non è importante la quantità di
fede, ma la qualità, che coltiviate nel vostro cuore una fede viva, forte ed efficace. Per intenderci,
una fede capace di «sradicare». Per ricostruire oggi l’esperienza religiosa occorre partire dalla
condizione fondamentale che è quella di riconoscere e accettare la propria finitezza. Mistero che
fonda il nostro essere. La fede consiste proprio in questa fiducia radicale, molto prima che
l’individuo si integri in una religione. C’è una certezza di fondo, ma accompagnata dall’oscurità.
La persona percepisce che è bene confidare in Dio, ma la sua fiducia non è il risultato di un
ragionamento o della convinzione provocata esternamente da altri. La fede «accade» nel nostro
intimo come grazia e dono dello stesso Dio. La persona «sa» di non essere sola, e accetta di
vivere di questa presenza oscura ma inconfondibile di Dio.
La fiducia in questo Mistero che chiamiamo «Dio» cambia tutto. Ci sono molte cose che
continuiamo a non capire, ma «sappiamo» che la Parola racchiude un mistero in cui si trova
quello che veramente desidera il cuore umano. L’importante allora è fidarsi che quello che Gesù
ha detto e ha fatto, se lo si vive, se lo si incarna, assicura la vita in pienezza, consente di
sbocciare, di rinascere, di camminare, in maniera tale da scavalcare anche la
morte.
Fidarsi di un messaggio comporta di conseguenza vivere secondo quel messaggio, improntare la
propria esistenza a quella Parola, con le proprie scelte, con il proprio stile di vita, nel proprio
modo di giocarsi le relazioni. Non si crede perché si vede un miracolo. Ma il miracolo dell’e-
sistenza potrà realizzarsi perché si è creato lo spazio all’ascolto e si è incarnata la parola; allora la
vita può sbocciare se cominci a condividere, a servire, a prenderti cura degli altri. Se abbiamo
fede nella parola e camminiamo verso i fratelli, guariremo dalla nostra malattia mortale, dal
nostro futuro malato. Se cominciamo a credere alla parola, il nostro bambino interiore comincia a
guarire. Pertanto essere uomini e donne di fede non significa vedere, sperimentare, chiedere
segni e prodigi. Si può avere fede, essere credenti, anche senza segni miracolosi. Purtroppo
anche nella nostra epoca si assiste a una sempre più affannosa ricerca di prodigi, di miracoli, di
attestazioni sensazionali cioè la crescita della vuota religiosità. La fede non può essere una
dottrina, non è una condizione intellettuale, non è la recita del Credo. Si può credere con la
ragione, senza modificare il proprio stile di vita; si può essere dottrinali ma al contempo criminali
nei confronti delle persone.