12 Dic Domenica terza di Avvento. Luca 3,10-18.
Straordinaria figura quella di Giovanni il Battezzante che non perde mai il contatto con se stesso e non va fuori della linea maestra della sua vita e della sua ricerca. Egli ha coscienza di essere chi è e ciò gli basta. Fino in fondo. Fino ad andare incontro alla morte come dovere della vita. Oggi riceviamo il nutrimento che ci svela la nostra personalità, inviandoci nel mondo per testimoniare il diritto sponsale di Dio nei confronti dell’intera umanità, di cui siamo figli e responsabili, contemporaneamente.
Quando in una società si soffoca l’amore, contemporaneamente si sta soffocando la dinamica che porta alla crescita umana e all’espansione della vita. Di qui l’importanza di curare l’amore e di lottare contro tutto quello che può distruggerlo. Un modo di uccidere alla radice l’amore è la manipolazione delle persone. Giovanni non impone il proprio modo di vivere, non esige fughe dal mondo, né invita la gente a seguirlo. Tutti possono restare dove sono. Convertirsi è fare le stesse cose in modo diverso. La parola di Dio non rinnega la storia, la rinnova.
Quello che conta è il mutamento della vita quotidiana, nella ferialità di ogni giorno. Giovanni non chiede di moltiplicare i gesti del culto ma di instaurare un nuovo modo di essere, dove l’umano è riconosciuto e non conculcato: questa è la conversione storica. La vera conversione si dimostra dal posto dato a Dio e all’uomo. Si tratta non di dare il giusto ma di entrare nella logica dell’amore. Comunità nella fraternità, nell’uguaglianza, nella pace. La conversione si dimostra nel servizio agli altri: “Colui che ha due tuniche ne regali una a chi non ne ha.
A questa conversione sono chiamati tutti: pubblicani e soldati, anche loro sono l’espressione vivente di una ingiustizia, che rappresentano la dittatura del denaro iniquo e del potere tirannico. È necessario che la vita non sia più una volontà di dominio sul mondo, sulle cose, sulle persone. Magistrale, a questo riguardo, è il discorso che il vescovo di Milano, Delpini ha tenuto in Cattedrale nella festa di Sant’ Ambrogio. La vita deve rivelarsi come servizio per l’altro, nella uguaglianza e nella giustizia. In questa maniera Giovanni chiama alla conversione, alla disponibilità al Regno che viene in Gesù di Nazaret. Ma la salvezza non si riassume solo nel mutamento dell’uomo.
È necessario che Dio venga, che lo Spirito ci riempia; è necessario ricevere il dono di Dio, vivere nell’amore della sua presenza, nel miracolo dell’amore che ci perdona, senza il profondo cambiamento, senza il dono agli altri, Gesù non viene. Potremo compiacerci in parole senza senso, in riti morti ma solo quando si soddisfa l’esigenza di servizio verso il piccolo, il povero, solo allora si può capire la chiamata del Signore. La rivoluzione sociale non è il contenuto del Regno, ma senza la giustizia e l’uguaglianza, senza aiuto per il povero è utopistico pensare che un giorno o l’altro giungeremo a capire la parola di Gesù Cristo.
Qui si rivela la verità della nostra vita. Qui viene allo scoperto la menzogna di non pochi modi di vivere la religiosità. Il Battista non propone loro riti sacri, norme o precetti, la cosa più decisiva è aprire il nostro cuore a Dio, guardando con attenzione alle necessità dei sofferenti. Il Battista riassume la sua risposta con una formula geniale nella sua semplicità e verità: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». L’amore è l’energia che dà vera vita alla società. In ogni civiltà ci sono forze che generano vita, verità e giustizia, e forze che provocano morte, menzogna e indegnità. Non è sempre facile scoprirlo, ma alla radice di ogni impulso vitale si trova sempre l’amore. Per questo, quando in una società si soffoca l’amore, contemporaneamente si sta soffocando la dinamica che porta alla crescita umana e all’espansione della vita.