24 Lug Domenica Sedicesima. Marco 6,30-34.
I discepoli, mandati da Gesù per proclamare il suo vangelo, tornano entusiasti. Non hanno il tempo di raccontare al loro Maestro tutto quello che hanno fatto e insegnato. A quanto pare, Gesù vuole ascoltarli con calma e li invita a ritirarsi «in disparte, soli, in un luogo deserto, e a riposarsi un po’».
La gente manda all’aria il loro piano. Da tutte le città accorrono alla loro ricerca. Non è più possibile quella riunione tranquilla, progettata da Gesù, da solo con i suoi discepoli più vicini. Quando arrivano in quel luogo, la moltitudine ha già invaso tutto. Gesù non è infastidito dalla gente. Fissa il suo sguardo sulla folla. Sa guardare non solo le persone concrete e vicine, ma anche questa massa di gente formata da uomini e donne senza voce, senza volto e senza importanza. Immediatamente nasce in lui la compassione. Per questo «Si mise a insegnar loro con calma», dedicando loro tempo e attenzione per nutrirli con la sua parola che guarisce.
Noi cristiani dimentichiamo troppo spesso che un gruppo di seguaci di Gesù non è solo una comunità di preghiera, riflessione e lavoro, ma anche una comunità di riposo e piacere.
Sant’Agostino ci lascia scritto: «Un gruppo di cristiani è un gruppo di persone che pregano insieme e si scambiano favori; scherzano insieme e insieme sono seri; a volte hanno divergenze, ma senza animosità, per rinforzare l’accordo abituale. Imparano l’uno dall’altro o insegnano gli uni agli altri, rimpiangono dispiaciuti gli assenti. Accolgono con allegria chi arriva. Inventano manifestazioni del cuore per quelli che si amano, espresse nel volto, nella lingua, negli occhi, in mille gesti di tenerezza».
Vi è un umorismo e un saper ridere che è segno di maturità e sapienza. È il riso della persona che sa relativizzare quello che è relativo, senza drammatizzare inutilmente i problemi. E’ saper coltivare quella virtù strana ma evangelica che è la leggerezza.
Noi mortali abbiamo bisogno di far festa. E forse oggi più che mai. Sottoposti a un ritmo di lavoro inflessibile, abbiamo bisogno di quel riposo che ci aiuti a liberarci dalla tensione, dal logorio e dalla fatica dallo stress della produttività. L’essere umano è fatto anche per divertirsi, per giocare, per godere dell’amicizia, per pregare, per ringraziare, per adorare, per amare. Non dobbiamo dimenticare che, al di là di lotte e rivalità, tutti siamo chiamati già fin da ora a godere da fratelli di una festa che un giorno sarà definitiva.
Si tratta di recuperare l’armonia interiore, di curare meglio le radici della nostra vita, di incontrarci con noi stessi, di godere dell’amicizia e dell’amore delle persone, di «gioire di Dio» attraverso la creazione intera. Esiste una stanchezza più profonda del semplice affaticamento prodotto dall’attività di ogni giorno. Una stanchezza che proviene innanzitutto dalla nostra tendenza a dare un’importanza eccessiva e sproporzionata a quello che ci accade. Allora certamente cambiano le preoccupazioni, le tensioni e i conflitti, quando la persona li situa nell’orizzonte globale della vita e li vive partendo dalla grandezza e dal perdono di Dio.
Esiste anche un’altra stanchezza che nasce dalla dispersione. Quando qualcuno vive diviso interiormente, presto sperimenta l’inquietudine e l’insicurezza.
Per riposare è dunque necessario recuperare l’unità interiore ed essere fedeli alla propria coscienza. La persona che si sente integrata torna a sperimentare la forza interiore e la pace. Per il credente, Dio è quel Mistero ultimo della vita che lo invita a unificare tutto a partire dall’amore.
Altre fonti di stanchezza sono la noia e l’abitudine. La vita è in gran parte ripetizione, e se la persona non vive partendo dal suo intimo, corre il rischio di cadere nell’abitudine: le cose perdono di novità, tutto è uguale, nulla vale la pena, la coppia che un giorno fu innamorata, oggi si annoia persino nei momenti di maggiore intimità.
Il vangelo ci ricorda l’invito di Gesù: «Venite in disparte, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Forse oggi ogni cristiano deve ripetere lo stesso invito a se stesso, a volte tanto spossato, disperso, annoiato o stressato, imparando a trovare ristoro interiore nell’incontro con questo Dio amico della vita, rivelato in Gesù